Recensione Chengdu, I Love You (2009)

L'accurata fotografia e il taglio delle inquadrature moderno ed efficace vanno a costituire l'essenza primaria di un lavoro tutto teso verso una dimensione estetica ed esteriore.

Danze sull'orlo del precipizio

Una duplice dichiarazione d'amore a una città (la Chengdu del titolo, capitale della regione del Sichuan martorizzata nel 2008 da un violentissimo terremoto) e a una cinematografia. Il veterano Fruit Chan e l'esordiente di lusso Cui Jian, padre del rock cinese, uniscono le loro forze realizzando i due episodi che costituiscono Chengu, I Love You, divertissement estetizzante girato con eleganza e perizia che utilizza il sottofondo tragico del terremoto per narrare due storie d'amore, entrambe impossibili, anche se per ragioni diverse. A Fruit Chan tocca gettare uno sguardo nel futuro seguendo le tracce della generazione successiva al terremoto. Nel 2029 l'energica ballerina di samba Lin Miao cerca disperatamente di ritrovare il bambino che la salvò dal terremoto, ma anche di individuare il violento esperto di arti marziali che ha aggredito suo cugino. Purtroppo scoprirà suo malgrado che i due sono la stessa persona. Cui Jian balza indietro nel passato fino al 1976 per approdare alla Cina maoista dove un folle, maestro dell'arte di servire il the, si innamora di una sua giovane allieva ex danzatrice.

Dalla futuristica e ritmata samba all'elegante flessibilità della cerimonia del the, dove l'acqua bollente viene versata con una teiera dal beccuccio sei volte più lungo del normale, passando per la potenza delle arti marziali, Chengu, I Love You è un pellicola giocata sul concetto di armonia e movimento, su una concezione visiva tipicamente orientale in cui la macchina da presa danza intorno ai protagonisti, li sfiora e li accarezza, si ferma a osservarne il gesto atletico o il sostare riflessivo. L'accurata fotografia e il taglio delle inquadrature moderno ed efficace vanno a costituire l'essenza primaria di un lavoro tutto teso verso una dimensione estetica ed esteriore. Il film diretto da Fruit Chan e Cui Jian è lieve e piacevole come un ramo di salice piegato dal vento proprio perché non fa leva sul contenuto. Lo spettro del terremoto, presente e passato, è qualcosa che viene vissuto e accettato come parte integrante della realtà e l'unica concessione al dramma a opera di Fruit Chan è la scelta, ancora una volta estetica, di inserire alcuni rapidi flashback polverosi girati con una mobilissima camera a mano che ripropongono le scosse in cui la protagonista bambina rischia di morire.
Per coinvolgere le spettatore e tenerlo avvinto alla storia, Chan fa ampio uso della voice over che, in alcuni casi, toglie magia alla purezza dell'immagine e alla fascinazione della samba su cui la macchina da presa insiste seguendo da vicino la bella protagonista di questo frammento. Al contrario Cui Jian gioca maggiormente sull'uso della valenza simbolica dell'immagine per evocare lo sconvolgimento provocato dal terremoto puntando sull'ironia con cui viene descritto il suo protagonista, il maestro della cerimonia del the ritenuto da tutti pazzo, e sulla fascinazione creata dalle sequenze acrobatiche. Nelle immagini più esplicitamente coreografiche la macchina da presa danza insieme ai suoi personaggi seguendo a ritroso lo scorrere del tempo, dal futuro misterioso al doloroso passato, semplice e potente proprio perché la sua immediatezza la fa sfuggire a ogni controllo. Senza dubbio siamo molto lontani dalla profondità di un Ang Lee o dalla perfezione estenuata di un Wong Kar Wai, ma la piacevolezza di Chengu, I Love You ci ricorda ancora una volta la vitalità del cinema orientale, testimoniata dalla capacità di sfornare prodotti medi di grande eleganza. Una gioia per gli occhi.

Movieplayer.it

3.0/5