Recensione Stories We Tell (2012)

Quello che nasce come il più classico dei documentari diventa minuto dopo minuto il commovente e divertito racconto di una figlia che ritrova un rapporto profondo con una doppia figura paterna, cercando di far luce su quell'enigmatica della madre.

Quando si vive una storia non ci si capisce un granché, sembra di stare in una casa spazzata via da un tornado. Poi, quando arriva il momento giusto e la storia si può raccontare, allora tutto diventa più chiaro. E non solo perché una qualsivoglia forma artistica possa darci una mano a ricostruire il passato, a rimettere i pezzi del mosaico al proprio posto, ma perché, ad un certo punto, si è diversi da prima e per questo disposti a vedere meglio quanto successo. Un presupposto semplice che Sarah Polley, apprezzata regista canadese, attrice per autori del calibro di David Cronenberg, Terry Gilliam e Atom Egoyan, ha preso come punto di partenza per il suo terzo lavoro dietro alla macchina da presa, Stories We tell, presentato nella sezione Giornate degli Autori alla 69.ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Il paragone con il tornado, che riporta alla mente le favolose avventure della Dorothy del Mago di Oz, è stato enunciato da uno dei tanti protagonisti di questa bellissima docufiction, legata ad una vicenda personale della stessa regista. Figlia di due attori teatrali, Michael e Diane Polley, personalità libere e anticonvenzionali, la Polley scopre dopo la morte della madre di essere il frutto della relazione clandestina tra Diane e Hugh Gulkin, importante produttore cinematografico canadese, conosciuto dalla donna durante una tournée teatrale e in un periodo di crisi con il marito. Quello che sembra essere il punto di partenza di un feuilleton di quart'ordine diventa nelle mani della Polley l'origine di un approfondito ed emozionante excursus non tanto alla ricerca verità, ma di quelle piccole e grandi trasformazioni che quella rivelazione ha rappresentato per la sua vita e quella degli altri familiari.

Cronaca familiare

Stories We Tell: una scena del documentario di Sarah Polley
Stories We Tell: una scena del documentario di Sarah Polley

A sei anni dal suo toccante debutto registico (Lontano da lei - Away from her) la Polley dunque si sente pronta per mettersi completamente in gioco e lo fa scegliendo una forma artistica peculiare come la docufiction. Verità e documentario sono termini strettamente legati, ma in questo caso la Polley va oltre il bisogno di stabilire una volte per tutte ciò che è vero, proposito che appartiene più al mondo della matematica che non a quello degli esseri umani, per dedicare la sua completa attenzione alle reazioni delle persone coinvolte a quanto avvenuto, cercando le discrepanze tra le versioni, quell'ambiguità che è propria della vita. Una scelta sagace ben resa dalle riprese amatoriali in Super8, che danno una dimensione di familiarità a quanto si vede, in realtà tutte rigorosamente ricostruite (se si fa eccezione per alcuni veri filmati privati). A chi può interessare un documentario su una stupida famiglia, si chiede ironicamente una delle sorelle della regista, durante una delle interviste, condotte con calma serafica e un pizzico di sadismo dalla stessa autrice, inappuntabile perfino quando chiede al padre di rileggere meglio il testo della voce fuori campo, punto sul vivo per l'errore tecnico commesso. E' chiaro che questa ricostruzione serva in primis a lei, non tanto per ricomporre i pezzi di un fosco puzzle esistenziale, ma per condividere la propria storia e rendere un ringraziamento a chi ha permesso di trasformare questa situazione dolorosa in una nascita, nella fattispecie i suoi due padri, uomini non perfetti che hanno avuto il merito di non smettere di amare mai la propria figlia (uno status che va al di là di ogni certificazione genetica) e di modulare quell'affetto anche alla luce di una temibile confessione.

Come una casa in un tornado

Stories We Tell: la sceneggiatrice e regista del film Sarah Polley sul set insieme al direttore della fotografia Iris Ng
Stories We Tell: la sceneggiatrice e regista del film Sarah Polley sul set insieme al direttore della fotografia Iris Ng

Quello che nasce come il più classico dei documentari diventa minuto dopo minuto il commovente e divertito racconto di una figlia che ritrova un rapporto profondo con questa doppia figura paterna, cercando di far luce su quell'enigmatica della madre. Donna in cerca d'amore, all'apparenza vitale e affamata di vita, segnata da un divorzio che le ha impedito per lungo tempo di vedere i primi due figli, la Diane Polley di Stories We tell è una maschera sfaccettata e misteriosa, bella proprio perché nessuna dichiarazione dei protagonisti riesce a inquadrarla totalmente. Ripercorrendo le tappe della vita della madre, Sarah parla dei suoi fratelli e sorelle, del padre Michael e di come sia stato cosciente di non essere stato l'uomo 'giusto' per la moglie; del 'nuovo' padre Hugh, della bellezza di quel rapporto ritrovato e della crisi che subito dopo si è comunque palesata. Nell'immediatezza di fondo la docufiction della regista canadese propone una molteplicità di temi, tutti di straordinaria importanza e complessità e si ha la sensazione di essere travolti da un racconto che obbliga ad abbandonare ogni rigore. C'è la ricerca dell'identità di una giovane donna; l'acuta riflessione di una cineasta sul senso del narrare storie, in questo caso legate ad un trascorso personale, ma non per questo meno immaginifiche; la meditazione su un mezzo come il cinema, ed in particolare su quella forma peculiare che è la docufiction, in cui verità e finzione si toccano fino a creare una cosa a sé, un corto circuito che se 'condotto' col giusto tocco può dare origine ad un lavoro prezioso e unico come questo.

Conclusione

Tra verità e ricostruzione, la regista narra una parte essenziale della sua vita, consegnandoci un diario emozionante e prezioso. Non si tratta della solita e immobile istantanea di un momento doloroso, né di sfogliare pagine ingiallite di un vecchio album di famiglia; la Polley scava sì nel passato, ma si muove con la risolutezza e la leggerezza di chi ha fatto i conti con sé stessa.

Movieplayer.it

4.0/5