Claudio Santamaria e Roan Johnson a Roma per I primi della lista

Abbiamo incontrato a Roma il cast della divertente commedia indipendente che racconta un bizzarro fatto di cronaca avvenuto nel giugno del 1970 a tre ragazzi pisani, divenuti famosi per aver chiesto asilo politico in Austria.

Presentato come Evento Speciale del Festival di Roma, I primi della lista è una divertentissima commedia che narra di una storia vera avvenuta il 1° giugno del 1970 che vide protagonisti tre ingenuotti ragazzi pisani, Pino Masi, uno dei più famosi cantautori rivoluzionari di quegli anni anche assistente alla regia di Pasolini, Renzo Lulli e Fabio Gismondi, tre attivisti dei movimenti studenteschi che, allarmati dalla voce di un imminente colpo di stato militare in quel di Roma decidono, spinti dalla convinzione di Masi, di fuggire dall'Italia e di chiedere asilo politico in Austria forzando il posto di blocco al confine. Convinti di finire come 'primi della lista' di una possibile rappresaglia se il golpe fosse andato a buon fine, i tre affrontano un divertente, grottesco e surreale viaggio della salvezza in una storia che nasconde nel suo cuore temi importanti come le speranze e le paure di quegli anni, l'ingenuità, l'illusione e la leggerezza, elementi che si sono persi e che stentiamo a ritrovare nei giovani di oggi.

Pino Masi, interpretato da un esilarante Claudio Santamaria, a tutt'oggi è ancora un cantastorie vecchia maniera che va in giro per piazze e osterie, il polemico Fabio Gismondi, interpretato da Paolo Cioni, dopo la fuga in Austria andò via da Pisa per la vergogna e oggi, dopo aver girato il mondo vivendo in Danimarca, Australia e in Sardegna vende antiquariato esotico nei mercatini in giro per l'Italia. Renzo Lulli, che nel film ha il volto di Francesco Turbanti, è quello dei tre che ha scelto di raccontare questa bizzarra avventura nei dettagli scrivendone il soggetto e la sceneggiatura a quattro mani con il regista Roan Johnson.

Ecco cosa ci hanno raccontato i protagonisti del film giunti a Roma accompagnati dal regista Roan Johnson, londinese di nascita ma pisano a tutti gli effetti e cresciuto professionalmente al Centro Sperimentale di Roma, qui al suo esordio dietro la macchina da presa. I primi della lista è prodotto da Palomar e Urania Cinema in collaborazione con Rai Cinema e sarà nelle sale a partire da venerdì 11 novembre distribuito da Cinecittà Luce.

Perchè un regista che è nato nel 1974 decide di occuparsi di una storia che si svolge negli anni '70? Roan Johnson: E' la storia che ha scelto me non io che ho scelto la storia. Quattro anni fa mi hanno mandato un racconto di venti pagine scritto da Renzo Lulli, oggi sessantenne, e mi è piaciuto subito moltissimo perchè già ne avevo sentito molto parlare, visto che la storia di questi tre ragazzi a Pisa è una sorta di leggenda metropolitana. E' una storia vera, una storia esemplare a mio avviso, perchè dentro di sé porta il DNA di quei tempi, gli anni '70 sono stati un punto nevralgico della storia italiana, anni cruciali per la creatività e la gioia che si respirava, ma proprio nell'anno in cui avviene questa vicenda il clima di avventura e di ribellione del '68 si mescola con la paura, con la tensione, come se ci si aspettasse che da un momento all'altro potesse succedere il peggio. Come poi effettivamente è avvenuto.

Hai deciso subito di farne un film? Roan Johnson: Era una storia buffa, assurda e surreale che però racconta molto di quel tempo, di quel cambiamento che c'è stato. Ero francamente convinto che non sarei mai riuscito a farne un film, per tanti motivi, è una commedia strana, un po' on-the-road, ed è sugli anni '70, e poi non c'è neanche una donna in tutto il film. Scoraggiato da tutti questi elementi ho iniziato a progettarne un documentario, poi ho stilato una lista di produttori e il primo della lista (ride) era Carlo Degli Esposti. Dopo qualche giorno dal nostro incontro ci hanno richiamato dalla Palomar per dirci che ne volevano fare un film perchè la storia era troppo divertente, così abbiamo iniziato a scrivere la sceneggiatura. Non ho fatto neanche in tempo a portare il soggetto da altri produttori.

Hai fatto questo film pensando a quegli anni o pensando anche a quel che accade oggi? Roan Johnson: Ho sempre studiato gli anni '70, sono sempre stati un punto di riferimento per noi giovani pisani, i movimenti studenteschi di oggi fanno ancora riferimento alla vecchia guardia degli studenti delle lotte di quegli anni difficili e importantissimi. Ho provato da subito un interesse naturale per questa vicenda ma ho voluto filtrare la storia attraverso i miei occhi, raccontarla un po' come fossi io con i miei amici ad aver fatto quella che io definisco una meravigliosa cavolata, per i costumi del film siamo andati nei mercatini vintage, però vedendo loro sul set volevo avere l'impressione di vedere tre ragazzi di oggi vestiti in quel modo un po' retro.

Quanto vi siete discostati dalla storia reale e in cosa? Roan Johnson: Nonostante ci siano dei passaggi abbastanza assurdi, me ne rendo conto, quello che vedete sullo schermo è esattamente ciò che è successo con un cambiamento neanche troppo sostanziale. In realtà l'incontro con i militari avviene sull'autostrada, perchè loro andavano in su e i militari incolonnati andavano in giù. Noi per motivi di budget abbiamo trovato una soluzione drammaturgicamente migliore scegliendo di girare la scena del fatidico incontro in un bar dell'autogrill. Ovviamente i personaggi sono un pochino più romanzati, abbiamo cambiato qualcosa nelle dinamiche relazionali per rendere meglio il carattere dei protagonisti. In realtà l'unico che aveva la carta d'identità era Gismondi e non Lulli come facciamo vedere noi e poi abbiamo usato la A112 di Lulli e non la Fiat500 di Gismondi, e queste cose l'hanno fatto un po' arrabbiare (ride). E' stato un inferno girare con quell'automobilina piccola, il basso budget non ci ha permesso l'uso del camera car e il direttore della fotografia è stato tutto il tempo nel bagagliaio insieme al fonico, ne hanno passate davvero delle belle.

Quanto i tre veri protagonisti del film hanno interagito con voi per creare i personaggi? Francesco Turbanti: Il vero Lulli mi ha aiutato molto a ricostuire l'accaduto e il personaggio, ci ha aiutato anche a livello terminologico, a quei tempi per esempio si diceva fascista e non fascio.
Paolo Cioni: Ad un certo punto il vero Gismondi mi ha chiesto "ma dimmi un po', ma tu lo picchi il Masi a un certo punto?", quando gli ho confessato che in realtà nel film è il Masi a picchiare me lui è andato su tutte le furie. In questi giorni vedrà il film in sala ed avrà questa triste conferma, poverino (ride).
Claudio Santamaria: Io ho conosciuto Masi l'ultimo giorno di riprese, ho visto però su YouTube tante sue interviste e tante foto. Non dovendo restituire un ritratto fedele di Pino Masi né un biopic, ho cercato di costruirlo come più mi piaceva, c'era già così tanto del personaggio in sceneggiatura che non ho avuto bisogno di ulteriori racconti. Era la storia ad essere in primo piano non i singoli.

I tre protagonisti, quelli veri, si sono rincontrati tutti insieme grazie al film? Roan Johnson: Abbiamo fatto delle letture della sceneggiatura ma non è stato possibile farle tutti insieme perchè Gismondi e Masi non si parlano e non si vogliono incontrare. Abbiamo dovuto organizzare delle letture separate a coppie per non farli incontrare (ride). Ognuno sostiene una sua versione dei fatti, punto cruciale il confine jugoslavo, non si è capito ancora perchè siano tornati indietro e i due danno una versione completamente opposta dei fatti.

Col dialetto pisano com'è andata? Claudio Santamaria: Quando ho accettato il ruolo e ho deciso di fare il film, Roan, che in realtà è un malato di mente (ride), mi ha mandato delle registrazioni in cui con la sua voce mi faceva delle lezioni di pisano moderno. "La parola 'cosa' ha la 'c' come fosse una cappa" mi diceva, e la tiritera andava avanti anche venti minuti con intermezzi suoi che spiegava questa pronuncia piuttosto che quella. Mi correggevano tutti quando sbagliavo sul set ed è stato molto divertente per me lavorare su un accento diverso.

In questa storia c'è la burla, l'avventura, la crescita, ma il famoso sguardo disincantato che rende questi ragazzi diversi dai ragazzi di oggi dov'è? Roan Johnson: Tendenzialmente definirei I primi della lista come una commedia, anche se non appartiene del tutto alla commedia all'italiana dove di solito i personaggi hanno un cinismo che li caratterizza. Per tutto il film pensiamo ai tre come a tre imbecilli, ma rimane di fondo una certa ambiguità, ripercorrendo poi quello che è accaduto negli anni successivi secondo voi possiamo dire che questi erano tre sprovveduti? Oppure avevano visto giusto? Non è una commedia totalmente grottesca o surreale, i personaggi compiono un loro percorso, un percorso che ancora oggi per i tre non si è concluso.

Quali sono state le maggiori difficoltà durante le riprese? Nel carcere coom'è andata? Roan Johnson: Mentre tutte le altre scene sono state girate in un'atmosfera di grande frenesia perchè dovevamo portare a casa tutto quello che potevamo avendo la consapevolezza non saremmo mai più tornati in quel posto, nel carcere invece eravamo tranquilli, è stato senza dubbio il momento migliore delle riprese, quello in cui ho goduto di più nel girare, anche perchè si svolge lì il punto fondamentale e nodale della storia. E' lì che si rompe l'illusione e che i personaggi acquistano spessore passando da tre ragazzotti in fuga a tre ragazzi adulti che capiscono di aver fatto una bravata.

Cosa ha convinto Claudio Santamaria ad accettare il ruolo? Claudio Santamaria: Roan Johnson mi ha mandato una e-mail con questa proposta, io in quel momento non ero molto nel mood da commedia, ma mi ha proposto di vederci vis-a-vis e io ho accettato. Abbiamo fatto questo mega incontro all'hollywoodiana con i nostri rispettivi agenti e siamo giunti ad un compromesso, mi ha detto "facciamo una giornata di prove, ci vediamo noi quattro e lavoriamo sul testo e su qualche scena, poi vediamo quel che esce fuori, se riusciamo a lavorare bene insieme e poi decidiamo". Quella fu una giornata molto bella per me, creativa e divertente, ci siamo intesi dall'inizio e quindi ho deciso di fare il film. C'era sempre il rischio di andare oltre, di cadere in un tipo di recitazione grottesca e sopra le righe, invece l'ottimo lavoro di Roan ci ha riportati sempre a un tipo di recitazione vera, diretta e semplice, senza ammiccare mai troppo alla commedia, e questo a mio avviso fa molto più ridere perchè i tre protagonisti credono davvero in quello che stanno facendo, non sono consapevoli dell'ironia che c'è in quella scena anche perchè in definitiva non c'è niente da ridere.

Che ritratto emerge di quella generazione dal film? A confronto con le nuove generazioni cosa vedete di diverso? Claudio Santamaria: All'epoca c'era un nemico reale, adesso non si sa bene cosa c'è e chi c'è dietro quel che stiamo vivendo in Italia, assai rappresentativa di quella generazione è la canzone finale di De Andrè intitolata "Quello che non ho", pur essendo postuma rappresenta bene lo stato d'animo dei giovani degli anni '70.
Francesco Turbanti: Essendo il più giovane dei tre mi sento tirato in causa da questo argomento. I tre protagonisti di questa storia fuggono ad un certo punto, ma almeno loro fanno qualcosa. La fuga spesso viene interpretata come una viltà, ma è un errore che non dobbiamo fare perchè quella é comunque un'azione. Al giorno d'oggi non c'è risposta a cosa fare, manca l'azione.

Nel film la fuga viene vista come forma di protesta, ma oggi, qual è il rapporto di Roan Johnson con la protesta? Roan Johnson: I ragazzi nel film vorrebbero continuare a lottare, ma anche salvarsi da eroi dagli avvenimenti che secondo loro stanno per accadere. La fuga è un'alternativa e il diritto alla fuga è sacrosanto. A quei tempi non era la peggiore delle ipotesi mentre in questo momento non penso che la fuga possa cambiare qualcosa. Ho alle spalle un lungo percorso nei centri sociali e nei movimenti studenteschi, quel 15 ottobre ero in piazza a Roma ed è stata per me una sconfitta, c'è stato un sabotaggio del corteo, una cosa che in una protesta anni '70 non sarebbe mai avvenuta, al massimo si sarebbero limitati ad andare verso i palazzi del potere per protestare, invece la protesta di piazza quel giorno si è trasformata in una rivolta contro la polizia, tutto quel che rimane di quella sommossa popolare è questo in definitiva.

Che sentimenti hai provato quel giorno? Roan Johnson: E' stato un peccato perchè quel movimento avrebbe piazzato delle tende a piazza S. Giovanni per una sorta di occupazione pacifica che però ovviamente poi non c'è stata. Continuo a non comprendere il perchè gli studenti non si piazzino sotto Montecitorio come hanno fatto gli spagnoli per molto meno. Mi spiace di questa inerzia, c'è bisogno di un cambiamento radicale che ad oggi sembra impossibile.