BENUR - Un gladiatore in affitto, come ti reinvento la crisi

Il nostro incontro con il cast della commedia di Massimo Andrei, in uscita nelle nostre sale il Primo maggio prossimo, grazie a Movimento Film; 'Racconto la miseria umana attraverso la battutaccia irriverente', ha raccontato il regista.

Non è un caso che arrivi nelle nostre sale nel giorno della festa dei Lavoratori, perché in fondo, BENUR Un gladiatore in affitto, opera seconda di Massimo Andrei, anche di questo parla; dell'arte di arrangiarsi che spinge tre poveri diavoli a reinventarsi una vita per sopravvivere alla crisi; scelta che in questo caso produce effetti deleteri soprattutto sui rapporti umani. Tratta dalla pièce teatrale Ben Hur di Gianni Clementi (anche sceneggiatore), la commedia racconta la storia di Sergio, ex stuntman del cinema, romanista cronico, che per racimolare qualche euro si fa fotografare dai turisti vestito da centurione; l'uomo vive con la sorella Maria, una donna depressa e imbruttita dai fallimenti dopo la poco amichevole separazione dal marito, finita a fare la telefonista per una hot line. Quando nella loro vita arriva Milan, immigrato clandestino bielorusso pieno di iniziativa, fantasioso, estremamente talentuoso e soprattutto stakanovista, gli equilibri consolidati si infrangono, dando il 'La' ad una serie di situazioni impreviste dai risvolti comici, ma molto amari. Sono stati gli stessi interpreti Nicola Pistoia, Paolo Triestino ed Elisabetta De Vito, presenti questa mattina alla conferenza stampa di rito, assieme al regista, Massimo Andrei e allo sceneggiatore, Gianni Clementi, a parlarci dei rispettivi personaggi e del lungo processo di lavorazione del film.

Portare al cinema una pièce teatrale non è usuale in Italia. In questo caso il miracolo si è compiuto con la particolarità che ad intepretare il film ci sono gli stessi attori che hanno calcato le tavole del palcoscenico. Ci raccontate qualcosa in più di questo doppio salto? Elisabetta De Vito: Diciamo che certi aspetti sono stati più semplici, in effetti io e Nicola ormai siamo fratello e sorella sul serio, altri invece sono stati più complessi, ad esempio trasportare 'mentalmente' il teatro al cinema.
Nicola Pistoia: Ero curioso di vedere il film e alla fine sono stato sorpreso e felice mi sembrava di stare a teatro. Anche io ho storto il naso sul finale, ma nel contesto ci sta anche bene e sono felice per l'operazione.
Gianni Clementi: Per quello che mi riguarda considero una grande vittoria il fatto che Elisabetta, Nicola e Paolo abbiano fatto il film. Ho preteso che ci fossero loro e i produttori hanno aderito con molto piacere a questa cosa.
Paolo Triestino: Gianni presentò l'idea di Ben Hur nel salotto di casa mia, più o meno nel 2007, poche pagine in cui Sergio e Maria erano in realtà marito e moglie, mentre io ero un sudamericano che parlava un po' inglese e un po' spagnolo. Abbiamo iniziato a parlarne e a discuterne tutti insieme, trasformando i pensieri fino alla versione attuale. Conosco persone che hanno visto lo spettacolo teatrale dodici volte e che adesso ci porterà i figli che nel frattempo sono diventati grandi.

Paolo, il tuo forse era il personaggio più complesso da adattare...
E' stato difficilissimo portare al cinema il linguaggio bielorusso-romano-italiano. Al teatro ti aiuta la continuità, ma sul set questo non è possibile, fortunatamente ho potuto contare sull'aiuto di un ragazzo bielorusso. Aveva pochi anni quando è arrivato in Italia, oggi ne ha 27, è il concierge di un importante albergo di via Frattina. Lui, come Milan del resto, il personaggio che interpreto, e come i figli dei nostri nonni emigranti, ha avuto fame, quel desiderio di riscattare la povertà. E' stata un'esperienza faticosa e straordinaria. Posso dire di aver fatto patire tanto il regista, ma era tale l'amore che sentivamo per questo lavoro che non poteva essere altrimenti, quando uno è tanto coinvolto poi perde la lucidità. Sul finale, ad esempio, abbiamo discusso molto, ma è giusto che un regista prenda le sue decisioni e Massimo ha fatto un gran bel lavoro.

Senza svelare nulla, possiamo dire che il finale del film è meno traumatico di quello dello spettacolo teatrale. Perché è stata fatta questa scelta? Massimo Andrei: Perché volevo che la storia fosse vista in un duplice modo e mettere in evidenza il punto di vista di chi, come me, non sarebbe mai in grado di lasciar morire qualcuno o sfruttarlo fino alla morte. Che sia un epilogo inverosimile o meno, lo lasciamo decidere allo spettatore che non deve subire passivamente quanto vede.

Come avete lavorato invece sull'adattamento vero e proprio? Lo spettacolo si svolge tutto nel salotto della casa di Sergio e Maria... Gianni Clementi: Per forza di cose, invece, al cinema dovevamo 'sfondare'. Fortunatamente grazie alla produzione abbiamo avuto la possibilità di girare in ambientazioni fantastiche e non era affatto scontato. Visti gli esiti notevoli dell'impegno produttivo, ci siamo comportati di conseguenza.
Massimo Andrei: Quando sono arrivato io, la sceneggiatura era già esistente e poi ci ho messo mano; ho voluto distanziarmi molto dallo spettacolo teatrale, che non ho neanche voluto vedere. Al cinema non puoi contare su quel legame che si crea tra attori e pubblico che, se ti prende in simpatia, ride qualunque cosa tu faccia. Mi sono affidato ai giusti collaboratori per raccontare la miseria umana con la battutaccia irriverente, l'aggressività del dialetto.

Si sorride molto nel film, ma la storia riserva anche dei risvolti meno divertenti, legati alle difficili condizioni che si trovano a vivere gli immigrati come Milan... Gianni Clementi: Fui ispirato a scrivere lo spettacolo dalla visione dei centurioni figuranti che tornavano a casa con l'elmo sotto al braccio e la sigaretta accesa; mi sono chiesto cosa ci fosse dietro al costume. L'indagine di fantasia si è poi sposata con la realtà che viviamo tutti i giorni. Quell'estate lessi sul giornale la notizia di un emigrato morto di fatica mentre lavorava nei campi. Fu preso, trasportato un paio di chilometri oltre il campo e abbandonato. Mi ha confortato sapere che Massimo è persona sensibile e socialmente impegnata.

Il film, rispetto alla pièce teatrale, vi ha dato la possibilità di mostrare angoli poco noti di Roma, come Tor Sapienza. Quanto è stato importante per voi il contatto con il volto meno conosciuto della capitale? Nicola Pistoia: Tor Sapienza l'ho sempre sentita nominare, ma non c'ero mai andato. Vivendo a Monteverde mi è capitato di vedere Corviale, ma sono quei posti da cui scappi, ci passi di corsa. A Tor Sapienza ho conosciuto persone che hanno dignità e generosità, la bellezza di questo mestiere è che ti fa incontrare gente che altrimenti non conosceresti; è stata una scuola di vita importante e sono felice anche per questo.
Paolo Triestino: L'originalità del film è proprio la distanza dalla Roma Umbertina, quella dei palazzi signorili.
Massimo Andrei: Tor Sapienza ha una sua poesia e mi è piaciuto molto girare lì; sarebbe stato un quartiere modello, se i servizi fossero stati eseguiti tutti quanti. E' rimasto solo il cemento armato.