Recensione Special Forces - Liberate l'ostaggio (2011)

Elsa Casanova è una giornalista francese, rapita dai talebani. Il suo viaggio attraverso le montagne afghane, insieme alla squadra speciale inviata a liberarla, parla di coraggio, abnegazione, spirito di sacrificio.

Azione, amicizia, sacrificio

Il rapimento di giornalisti o di operatori umanitari in zone di guerra è una realtà a cui abbiamo dovuto abituarci. Dire la verità, o portare il proprio aiuto a chi ne ha bisogno, è già non propriamente facile nel cosiddetto civilizzato occidente: non sorprende, quindi, che dove i conflitti, le occupazioni, le rivendicazioni hanno massacrato non solo il presente, ma soprattutto il futuro di interi popoli le cose siano ancora più complicate. Il prezzo per far sentire la propria voce, o per testimoniare quella di coloro che non ne hanno una, spesso è molto alto: si paga con la libertà, quando non con la vita, e c'è chi dice che non ne valga la pena. L'esordio alla cinematografia di Stephane Rybojad, documentarista francese di vasta esperienza che ben conosce i rischi del caso, è sicuramente in grado di stimolare una riflessione in tal senso.


La sua protagonista, Elsa Casanova, è una corrispondente di guerra che lavora per sensibilizzare il mondo sulla situazione delle donne afghane. Proprio al termine di un'intervista con una di loro, rea di aver accusato pubblicamente il capo talebano Zaief, Elsa viene rapita insieme al suo assistente e amico Amin. Le alte autorità francesi si mobilitano quindi per la sua liberazione: sul campo viene inviata un'unità delle forze speciali, capitanata da uno Djimon Hounsou tutto d'un pezzo, a cui è affidato l'ingrato compito non soltanto di guidare la propria squadra in un'impresa disperata dal punto di vista bellico, ma anche di tenere insieme, e far collaborare proficuamente, compagni di battaglia molto diversi tra loro. Dopo la liberazione di Elsa, infatti, la squadra inizierà una fuga attraverso le montagne nel tentativo di lasciarsi alle spalle Zaief e la sua armata di fedelissimi, decisi a non farsi soffiare da sotto il naso l'opportunità di fare della bella giornalista un esempio per tutti coloro che osano mettere in discussione i loro metodi, specialmente se donne. Durante il cammino, più delle condizioni climatiche estreme e dei continui scontri a fuoco, saranno i dubbi morali dei membri della squadra a rappresentare le vere difficoltà della missione.

Il regista è infatti molto abile nel caratterizzare profondamente i propri personaggi: c'è Elias, cecchino quasi infallibile ma tormentato dalla propria incapacità di fare la differenza in una prospettiva più ampia, c'è Victor, il cui mantra è "amo questo lavoro", ma che è forse il più sensibile e fragile del gruppo, e c'è Lucas, il più cinico e disincantato, nonché il più critico rispetto alla possibilità di rischiare la vita per l'idealismo di una giornalista. Quello che allontana Special Forces dalla definizione di mero film d'azione è proprio questo: il voler andare oltre la superficie delle cose, per scoprire l'umanità, la realtà più intima di quelli che, a una prima occhiata, potrebbero sembrare solo dei professionisti efficienti, chiamati a svolgere il proprio lavoro senza farsi troppe domande. Attraverso il confronto, quando non lo scontro aperto tra i protagonisti, Rybojad mette in luce il significato meno banale dell'amicizia, della collaborazione, del sacrificio: quel significato che è frutto non dell'accettazione passiva dell'altro, o degli ordini, ma che nasce dalla forza di dire di no, dal coraggio di fare la cosa giusta, nonostante la paura e il pregiudizio. Il regista francese riesce a mantenere quasi sempre salde le redini della storia, pur con qualche leggera sbandata retorica che si riflette, a tratti, anche nell'eccessivo respiro epico dato ad alcune scene d'azione. Ma anche in questo frangente, in virtù dell'esperienza acquisita nel corso della propria carriera come documentarista in situazioni ad alto rischio, l'occhio del regista si rivela efficace nel veicolare l'atmosfera adrenalinica, la valenza muscolare del combattimento, ma anche nel testimoniare da vicinissimo le emozioni dei protagonisti.

Dichiaratamente debitore di pellicole come Platoon o The Hurt Locker, nella loro capacità di disvelare il volto meno accattivante ed eroico della guerra, Special Forces non è altrettanto raffinato e rigoroso. Ma, nonostante alcune ingenuità, il lavoro di Rybojad rimane comunque equilibrato e onesto, dimostrandosi in grado di coniugare azione e riflessione, dinamismo e intimismo, senza mai addentrarsi troppo in questioni politiche che non avrebbero potuto essere trattate con la profondità dovuta. Questo, insieme alla buona fotografia, in grado di far emergere tutto il fascino spietato del paesaggio afghano, e a un'ottima prova attoriale da parte di tutto il cast, in primo luogo della protagonista Diane Kruger, fa di Special Forces un film che non ha niente da invidiare alle sue controparti hollywoodiane.

Movieplayer.it

3.0/5