Recensione La banda Baader Meinhof (2008)

La banda Baader Meinhof merita di essere seguito dagli amanti del cinema europeo perchè perfetta dimostrazione della ormai evidente bravura della "meglio gioventù" tedesca.

Attacco al potere

Non è la prima volta che il cinema tedesco si confronta con un passato scomodo, è per esempio il caso del bel La caduta di qualche anno fa. Lo stesso produttore, Bernd Eichinger, firma la sceneggiatura di questo La banda Baader Meinhof e insieme al regista Uli Edel (Christiane F. - Noi i ragazzi dello zoo di Berlino) porta sullo schermo la storia della Rote Armee Fraktion (RAF), un gruppo di resistenza armata dell'estrema sinistra che dal 1970 al 1977 terrorizzó la Germania federale.

Il film, rigorosamente basato sul libro omonimo del giornalista Stefan Aust, parte ancora prima della fondazione del RAF, dal giugno del 1967, quando durante una violenta dimostrazione a Berlino un poliziotto uccise uno studente; un fatto che sconvolge la giornalista Ulrike Meinhof, che comincia ad essere sempre più coinvolta all'interno delle rivolte studentesche. La protesta - in particolare contro la guerra in Vietnam e la politica filoamericana dei governi europei - si fa più violenta quando due giovani innamorati, Andreas Baader e Gudrun Ensslin, fanno esplodere un grande magazziono di Francoforte. Il carisma e le ideologie dei due giovani cominciano ad avere sempre più effetto sulla Meinhof che addirittura due anni dopo abbandona i figli e abbraccia consapevolmente la lotta armata che sfocerà ben presto in un vortice di violenza inaudita che terrá sotto scacco l'intera nazione per un intero decennio.

Il film mantiene per la sua intera durata un tono asciutto e realistico soffermandosi spesso sui gesti di violenza improvvisa dei protagonisti e comunque sempre più sui fatti che sulle motivazioni da cui scaturiscono. Una semplice ricostruzione storica che spezza così il film in due tronconi: una prima parte in cui lo spettatore segue con una certa fascinazione la crescita di consapevolezza dei protagonisti e una seconda parte in cui non si può fare a meno di osservare con assoluto distacco e freddezza gli sviluppi sanguinosi dei loro atti.
Ne vieni fuori così un film sicuramente interessante ma poco equilibrato, un film che ha il coraggio di affrontare di petto un periodo sicuramente difficile e discutibile di una nazione che ancora una volta si trova a fare il tifo per una corrente politica più pericolosa e sbagliata di quello che poteva apparire all'inizio. Ma a prescindere dal discorso politico e ancor più della comunque interessante ricostruzione del periodo, il film merita di essere seguito dagli amanti del cinema europeo perchè perfetta dimostrazione della ormai evidente bravura della "meglio gioventù" tedesca (a cui si unisce il solito straordinario Bruno Ganz) : tutti i giovani attori - dai più noti Moritz Bleibtreu e Martina Gedeck alla scoperta Johanna Wokalek - sono perfetti ad incarnare dei personaggi pericolasamente fascinosi, dei "rivoluzionari" che ammirano e citano il Che e che - forse incosciamente - proiettano su loro stessi l'urgenza e la necessità di non commettere più gli errori e gli orrori delle generazioni precedenti.
E' grazie alle loro eccellenti interpretazioni che il film non corre mai il rischio di rendere troppo umani questi terroristi, ma riesce nel difficile compito di mostrare le loro contraddizioni, la loro caduta da eroi popolari a semplici ed esecrabili criminali.

Movieplayer.it

3.0/5