Andy Serkis ci racconta L'alba del pianeta delle scimmie

L'uomo che ha dato voce e corpo a Gollum e a King Kong torna a vestire i "panni" del primate nel prequel firmato da Rupert Wyatt: è lo scimpanzé Caesar.

Le sue interpretazioni più note sono rimaste sotto le "maschere" di personaggi memorabili come Gollum nella trilogia de Il signore degli anelli e l'omonimo, gigantesco primate di King Kong, ma questo non ha impedito che il suo talento e la sua personalità fossero universalmente riconosciuti: ne L'alba del pianeta delle scimmie, atteso prequel della saga inaugurata nel 1968 da Il pianeta delle scimmie, Andy Serkis dà vita a Caesar, uno scimpanzé alla cui madre viene iniettato un farmaco sperimentale creato per combattere gli effetti del morbo di Alzheimer. Inatteso effetto collaterale è che il piccolo Caesar nasce con un'intelligenza incredibilmente potenziata rispetto ai suoi simili, e viene allevato segretamente dallo scienziato Will Rodman (James Franco). Quando la convivenza diventa impossibile, Caesar viene spedito in un laboratorio, dove verrà a contatto con animali della sua specie, e con la malvagità della nostra.
Ecco quello che ci ha raccontato l'attore inglese a proposito della sua esperienza di lavoro a L'alba del pianeta delle scimmie.

Prima di Caesar hai già interpretato una scimmia in King Kong, ma Kong era una creatura molto diversa. Come si fa a entrare dentro la mente di uno scimpanzé?

Andy Serkis: E' sufficiente l'approccio recitativo, si tratta semplicemente di un personaggio. Caesar e King Kong non potrebbero essere più lontani in questo senso. Kong era una specie di vecchio vagabondo psicotico che, ogni giorno, lottava per sopravvivere e non aveva mai avuto alcun tipo di rapporto con qualsiasi altro essere vivente fino all'incontro con Ann Darrow. A quel punto la sua vita si trasforma e ricomincia a percepire le cose.
Con Caesar, la sfida è stata interpretare non solo uno scimpanzé, ma uno scimpanzé che è stato anche esposto a questo farmaco che ha alterato le sue funzioni mentali, rendendolo iper-intelligente. Nelle prime fasi - perché io lo interpreto in ogni fase, da neonato a leader rivoluzionario - si è trattato di rendere umano questo scimpanzé. E' come un bambino dotato, un adolescente sveglio nel corpo di un bimbo di quattro anni.

Hai basato il personaggio sulla ricerca fatta su scimmie reali?

Mi sono basato sulla storia di un vero scimpanzé chiamato Oliver che, negli anni '70, era conosciuto come un "humanzee". Fu oggetto di molti esperimenti, perché lo si credeva essere la progenie di un essere umano e uno scimpanzé. E' una scimmia straordinaria perché bipede. Era totalmente legato agli esseri umani ai quali si unì, tanto che non è mai stato in compagnia di altre scimmie.
Così ho interpretato questo mostro di Frankenstein che pensa di vivere felicemente con il personaggio di James Franco, Will, e suo padre, interpretato da John Lithgow, in questo strano nucleo familiare fino a quando non raggiunge l'età della consapevolezza. Poi si verifica un evento a causa del quale non possono tenerlo più a casa, e così viene inserito in un'area protetta. Si ritrova improvvisamente circondato da tutte queste strane creature che gli somigliano, ma si comportano in modo completamente diverso. Non c'è nessun legame culturale tra di loro perché Caesar è stato allevato come un essere umano.
E' stato un personaggio molto, molto interessante. E questo è ciò che la performance capture fa al meglio, cioè darti una pelle che pensi di conoscere, ma in realtà non stavo solo facendo i movimenti della scimmia, nei movimenti stavo anche interpretando questa personalità confusa e conflittuale all'interno di quel corpo. E' la tensione, in realtà, tra la manifestazione sullo schermo e la tensione dentro di sé che spero lo renderà un personaggio interessante e ricco di sfumature.

La performance capture viene compresa meglio dagli attori in questi ultimi anni? Non è forse vero che durante le riprese de Il signore degli anelli alcuni attori erano piuttosto confusi da quello che succedeva sul set?

Assolutamente sì, e penso che stia diventando sempre più chiaro. C'è davvero un prima e un dopo Avatar, perché davvero quel film ha portato persone come James Cameron e Jon Landau a dire: "Guardate, queste sono le performance degli attori. Sono al servizio della storia narrata come farebbe un vero attore". Non si tratta quindi di personaggi creati con l'animazione - non potresti raggiungere un tale livello di emozioni in questo campo con una sequenza chiave di animazione.
La recitazione è quello che succede tra due attori, non quello che una singola persona emana. E' un'alchimia che non si può contraffare. Credo che ci sia ancora un po' una mancanza di comprensione da parte della comunità di attori, ma io non vedo alcuna differenza e non l'ho mai vista. Posso interpretare Ian Dury o Caesar e non credo ci sia qualcosa di particolare o diverso su quest'ultimo - è un personaggio come un altro.
James Franco, gli va dato merito, ci ha messo circa mezz'ora per entrare nel personaggio, ma una volta che guardi negli occhi un attore che è entrato nel personaggio, il resto è irrilevante. E lui ci è entrato del tutto, ha creduto all'intero scenario e ci ha semplicemente lavorato. Mi è piaciuto lavorare con lui, è stato fantastico.

James Franco sembra avere una prospettiva sul mondo davvero unica.
E' così infatti. Penso che sia un vero outsider, James. E' molto intelligente. Ora è a Yale per un master in inglese o qualcosa del genere. Lui è un uomo davvero brillante oltre che profondo. E poi è versatile: è insieme un artista, un poeta e un attore. Penso che sia addirittura sottovalutato, considerato quanto è dotato, interessante ed eclettico.

(Intervista realizzata da Joe Utichi per Quattrozeroquattro)