Venezia 2012: Di Costanzo presenta L'intervallo

Il regista napoletano ha presentato il suo film d'esordio alla stampa presente al Festival di Venezia, dove il film è stato presentato nella sezione Orizzonti.

Buona accoglienza a Venezia 2012 per L'intervallo, film piccolo di Leonardo Di Costanzo, tra le sorprese della sezione Orizzonti. La storia di due ragazzi rinchiusi in un edificio abbandonato sullo sfondo di una periferia partenopea in cui le pressioni socio-culturali opprimono ed obbligano a determinati comportamenti; un film sostenuto dall'ottima prova dei due giovani protagonisti Alessio Gallo e Francesca Riso, emozionatissimi nell'incontrare la stampa alla loro prima esperienza, affiancati dal produttore Carlo Cresto-Dina, lo sceneggiatore Maurizio Braucci ed il regista, che hanno illustrato gli aspetti più interessanti del progetto, in uscita anche nelle sale dal 6 Settembre, per la distribuzione di Luce Cinecittà.
E' proprio con i doverosi ringraziamenti al distributore ed alle produzioni che l'incontro si è aperto, con le parole di Cresto-Dina che ha sottolineato quanto fosse sorprendente il sì ricevuto senza esitazione da Rai Cinema per un film difficile, di un esordiente, senza attori noti, quasi interamente ambientato in un unico luogo e recitato in napoletano. Aggiungendo, poi, che "Con L'intervallo il pubblico italiano scoprirà un autore".

Dove è stato girato con precisione il film? La fotografia di Bigazzi è bellissima, avete usato solo luce naturale? Leonardo Di Costanzo: Lo spazio in cui è stato girato il film è l'ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi di Napoli, vicino all'aeroporto, per questo c'è un continuo passaggio di aerei. Gli aerei erano presenti anche in sceneggiatura, ma abbiamo trovato questo spazio che per fortuna coincideva con quanto avevamo pensato. Quando lo abbiamo trovato ci siamo resi conto che le storie vissute in quello spazio erano molto presenti nelle mura e negli spazi e ci siamo posti il problema se quel luogo dovesse diventare proprio un ospedale anche nel film, mentre era previsto che fosse un collegio, ma avrebbe virato il film su qualcosa di diverso che non saremmo riusciti a controllare. Con Bigazzi la cosa divertente è che si improvvisa, non si prepara. Avevamo deciso che la troupe si sarebbe dovuta adeguare agli attori per lasciare il massimo spazio alla loro espressività. Abbiamo usato poche luci durante il giorno, qualcosa in più la notte, come nella scena del cane con i cuccioli. Io vengo dal documentario, quindi mi sono portato dietro un po' di modi di quel tipo di cinema: quando giro mi piace essere sorpreso e con Bigazzi ho trovato un compagno ideale, visto che ogni mattina non sapevamo come o cosa avremmo girato. Sapevamo cosa dovevamo raccontare, perchè abbiamo lavorato con i ragazzi per un mese e mezzo solo sulla sceneggiatura, come si lavora a teatro, quindi loro sapevano tutto, tranne la fine della storia. Abbiamo temuto di uccidere un po' la spontaneità, ma abbiamo pensato che in fondo sarebbe stato come a teatro, contanto sul fatto che il set, la troupe, le luci avrebbe ridato vita al testo come il pubblico fa col palcoscenico.

Un elemento forte è come il sistema entri nelle vite delle persone. Che idea volevate dare a questo proposito? In che modo i due ragazzi hanno lavorato anche sulla sceneggiatura e sullo sviluppo? Leonardo Di Costanzo: Io ho fatto documentari e quando si fa un lavoro di narrazione del reale spesso si incontra a Napoli la Camorra, ma questo non è un film sulla Camorra. Esiste e anche facendo film su altri argomenti si sfiora quel mondo, ma questa non è una storia tratta da un fatto reale, è una storia possibile, che potrebbe accadere. Ci siamo chiesti spesso se fosse verosimile, poi la cronaca ti viene in aiuto perchè leggi come un ragazzo si faccia massacrare perchè fidanzato con una ragazza di un quartiere accanto, ed hai la conferma che sono storie che possono verificarsi. Ma non solo a Napoli, è successo anche a Parigi. Ma non è quella la storia, è un espediente narrativo, è la forza che li tiene dentro. L'idea era al limite di raccontare una mentalità camorristica, che determina certi accadimenti. L'idea di raccontare l'interno, di chiudere i personaggi all'interno di uno spazio, era anche di non fermarsi ai fatti, ma di entrare nell'immaginario dei personaggi.

Alessio Gallo: Sono entrato nel progetto quasi alla fine, perchè lavoravo e chi si occupava del casting, dopo avermi visto mi ha chiesto se avessi voluto far parte di questo film. Man mano sono riuscito ad entrare nel personaggio e capire il suo modo di fare e ho messo un po' anche di me stesso in lui.

Ci parlate della sequenza in cui Veronica scappa? Leonardo Di Costanzo: L'idea del tentativo di fuga era normale, ma scappare dove? Non c'è fuga possibile, l'unica possibilità è di affrontare i problemi e i conflitti. Il tentativo di fuga era in linea con il suo personaggio, che tende alla ribellione e non subire passivamente le imposizioni del quartiere. Anche quando arriva Bernardino e la minaccia, lei risponde, non è timorosa. Salvatore è invece è un personaggio che pensa "se stiamo tranquilli passerà senza che accada niente". Due opposti che rappresentano due poli in cui passiamo tutti, dalla ribellione all'accettazione.

Maurizio Braucci: Anche il titolo del film è importante. Perchè rappresenta una possibilità nella realtà in cui si trovano. Il personaggio non fugge materialmente, ma loro due riescono a creare, grazie al potere dell'adolescenza e della fantasia, una momentanea fuga da questa realtà. Ci interessava rappresentare la zona grigia, le persone che sono lì, come si relazionano con i poteri forti che si impongono su di loro. La fuga avviene grazie a qualcosa che è dentro di loro, ma non è una fuga che può durare. Ci interessava vedere come gli adolescenti, che sono le prime vittime, possono reagire e convivere con queste imposizioni.

Ci dice qualcosa della scena sul tetto in cui scelgono chi si deve salvare da un eventuale terremoto, questo giustiziere che ripara i torti che subiscono? Leonardo Di Costanzo: A Napoli non è una novità il gioco del terremoto per risolvere i problemi. E' anche quello un momento di fuga. C'è chi condanna questa idea, perchè vi vede una sorta di all'inattività, che delega ad un evento esterno la risoluzione dei problemi. Però è un'idea ricorrente a Napoli, un terremoto che azzeri tutto e dia la possibilità di ripartire.

Nel finale c'è un rumore forte prima dei titoli di coda, che fa pensare a qualcosa di violento oltre quello che vediamo. Leonardo Di Costanzo: Quel rumore che si sente è una porta che sbatte. Si ricollega a qualcosa che si diceva prima, al racconto dei ragazzi che di notte vanno in quel luogo per vedere i fantasmi. Era un po' questa l'idea, di richiamare quel racconto fatto in precedenza nel film.

Com'è stata l'esperienza sul set? Quali sono le esperienze precedenti dei ragazzi? Alessio Gallo: Mi sono divertito molto sul set, con gli attrezzisti e gli altri operatori. Non ho mai avuto esperienze prima, nè di teatro, nè di cinema. E' sempre stato un sogno nel cassetto e non ci credo ancora di essere arrivato qua. Nella vita in realtà faccio lo spedizioniere.

Francesca Riso: Questa è la mia terza esperienza teatrale. Quando andavo a fare il laboratorio mi piaceva scherzare con tutti, per la prima volta mi sono trovata a recitare davanti a tante persone anche sconosciute e non è stato facile. Nella vita studio, vado ancora a scuola.