Pennebaker & Hegedus, dolcetti e (qualche) scherzetto a Perugia

Ospiti d'onore della preview del Perugia International Film Festival, i due documentaristi hanno presentato Kings of Pastry; 'Il documentario è qualcosa di unico, mostra la verità della vita', dicono all'unisono.

Il suo nome può non essere conosciuto dal grande pubblico, ma se citassimo la sequenza di apertura una delle sue opere chiave, Dont' Look Back, in cui Bob Dylan canta la sua Subterranean Homesick Blues, gettando a terra i cartelli con il testo del brano scritto, allora anche lo spettatore meno avvezzo potrebbe riconoscere la mano di Donn Alan Pennebaker, uno dei maggiori documentaristi della storia del cinema, noto per le fruttuose collaborazioni con musicisti del calibro di John Lennon e David Bowie e per aver filmato il noto festival di Monterey nel 1967. Familiarmente chiamato Penny, Pennebaker e sua moglie e compagna artistica, Chris Hegedus, hanno impreziosito la due giorni di preview del Perugia International Film Festival, presentando al pubblico una delle loro ultime fatiche, Kings of Pastry, un delizioso lavoro in cui vengono raccontati i retroscena del più importante concorso di alta pasticceria del mondo, da cui vengono nominati i migliori in assoluto. Apparentemente distante dai precedenti lavori del duo, nominato all'Oscar nel 1994 per The War Room, documentario sulla campagna presidenziale di Bill Clinton, l'opera è in realtà il concentrato dello stile della premiata ditta Pennebacker-Hegedus e soprattutto della loro magistrale capacità di riprendere la vita e le sue emozioni nel momento in cui si palesano, senza inutili orpelli estetici.

Com'è mai vi è saltato in mente di raccontare una storia del genere? Chris Hegedus: Come spesso ci è capitato in passato, l'idea di raccontare questa storia ci è venuta da un amico che ha deciso di cambiare carriera, mollare la vecchia vita e iniziare a frequentare i corsi della scuola di alta pasticceria di Chicago. Abbiamo parlato a lungo e ci ha raccontato dell'esistenza di questa gara che coinvolgeva 16 pasticceri, una gara che avrebbe potuto decretare un solo vincitore o tutti e che avrebbe dato diritto ad indossare il colletto dei migliori per tutta la vita. Insomma una sorta di segno distintivo. Questo ha stimolato la mia curiosità. Mio nonno era uno chef e ha aperto due pasticcerie a New York, in un certo senso ero destinata a questa storia. Lavorare con tutti loro è stato bellissimo, è davvero un ambito molto interessante. Così come ho trovato molto interessanti gli incubi che hanno vissuto questi protagonisti. Uno di loro lo dice con candore. Pregava la compagna di chiamarlo prima di dormire e di dirgli che la gara era annullata e solo così riusciva ad addormentarsi senza paura. Quell'intervista è stata una delle prime cose che abbiamo girato.
Donn Pennebacker: E dire che fanno tutto questo solo per vincere un colletto...

E' interessante il fatto che abbiate concentrato l'attenzione su una persona, Jackie Pfeiffer, che non ha vinto la gara. Però alla fine lo vediamo felice durante i festeggiamenti per le sue nozze... Chris Hegedus: Beh sì, Jackie non ha vinto la gara, ma ha vinto la ragazza, quindi alla fine gli è andata bene. E comunque ha ottenuto lo stesso grandi riconoscimenti. E' una persona impressionante per la sua generosità. Non solo, ma ha anche elaborato delle tecniche per gli chef giovani, anche se è troppo umile per vantarsene.
Donn Pennebacker: Presumo che tornerà a provarci. Il suo problema è che è molto fantasioso. Jackie non riesce a fare nulla di normale, quando inventa qualcosa è come se inventasse una macchina, è normale che gli altri siano più veloci di lui. Ma lui resta elegante e talentuoso.

Non pensate che sia strano che il mondo della pasticceria e della cucina in generale sia ancora così inaccessibile alle donne? Chris Hegedus: Beh, dalle immagini del documentario è immediatamente visibile quello a cui le donne rinunciano, in termini di vita affettiva. Le compagne dei pasticceri in gara sembrano quasi delle divorziate. E per di più non ci sono pasticciere in lizza per il titolo di MOF, Meilleurs Ovrieurs de France. Non so se vi rendete conto della maestosità di questo concorso. Si è in gara dalle arti culinarie all'ebanisteria, fino naturalmente alla pasticceria. Quando abbiamo girato è stato il primo anno in cui in una manifestazione ultracentenaria una donna ha partecipato e vinto nella categoria cibi caldi. E dopo alcuni anni un pasticcere vincitore del MOF stava preparando delle donne. Fortunatamente quindi la tendenza di sta invertendo. Anche in un reality show come Top Chef è riuscita ad imporsi una donna.
Donn Pennebacker: Il luogo comune duro a morire è che lo chef è sia il capo assoluto e si dà per scontato che siano solo gli uomini a dare gli ordini.

Avete mai avuto paura di disturbare i pasticcieri in gara con la vostra presenza? Chris Hegedus: Sì eccome! Però devo dire che è stato tutto molto veloce. All'inizio non sapevamo che avremmo dovuto girare durante la gara. Poi ci siamo fiondati sul set e abbiamo cominciato a interagire con loro. Dopo il primo giorno di riprese ci avevano fatto i complimenti per a nostra 'invisibilità'. E la cosa si è ripetuta anche il secondo giorno. Il terzo giorno, quello in cui avrebbero dovuto mostrare i loro lavori, ci hanno fatto capire che ci avrebbero ammazzati se li avessimo ostacolati, allora hanno allestito una specie di box, ci siamo messi lì e abbiamo girato quello che ci serviva. Non avremmo potuto perdonarci se avessimo rotto qualcosa. Quando Marcel ha distrutto la sua statua di zucchero ci siamo davvero tutti mortificati. Era straziante vederlo.
Donn Pennebacker: Purtroppo gusto e senso estetico non sempre vanno di pari passo. Quelle statue di zucchero non hanno alcuna utilità. Non si possono mangiare, sono fragilissime e si rompono in mille pezzi. Sono lì per essere belle. Questo contrasto mi piaceva molto. E' ovvio che quando ti inserisci nella vita di un altro cerchi di dargli meno fastidio, ma noi volevamo essere lì mentre succedeva qualcosa di importante. E' il nostro istinto.

Il vostro film può suggerire un certo amore per la gastronomia e il cibo fatto per bene. E' un pensiero che avete avuto? Chris Hegedus: Ne sarei felice, anche perché l'obesità è un problema e sappiamo quanto Michelle Obama si stia dando da fare in tal senso. Ma non credo che il nostro documentario possa essere un elogio della dieta...

Credete che Kings of Pastry si differenzi dai vostri lavori del passato, quelli più politici per così dire? Avete effettivamente invertito una tendenza? Donn Pennebacker: Credo proprio di no. Nelle immagini del film si mostra il carattere delle persone e il carattere, la stoffa, vengono fuori durante la gara. La parola giusta è perseveranza. E noi eravamo lì in quel momento. Quando mi dicono che John Coltrane suonava superbamente, ci credo sulla parola, ma esserci mentre suonava, riprenderlo, è quella la sfida. Noi abbiamo mostrato quel processo creativo. E in più ci siamo mangiati anche qualche dolcetto tra una ripresa e l'altra. A parte gli scherzi, a me non interessa se un uomo suona il sassofono o se è impegnato in una campagna elettorale. Mi interessa la competizione, che a volte può spezzarti il cuore, me ne rendo conto. E il bello è che puoi testimoniare quei sentimenti. Quando la fai nella maniera giusta gli spettatori avranno la possibilità di vedere qualcosa di completamente unico; che poi è quello che il cinema dovrebbe sempre offrire. Non sempre i film ci dicono quello che davvero è la vita. Non fraintendetemi, non penso che i lungometraggi di finzione siano sbagliati, ma non ti danno il senso dell'immediato.

La musica della colonna sonora è davvero bellissima.... Donn Pennebacker: Quello era Django Reinhardt! I suoi pezzi sono stati reinterpretati da un nostro amico. Alcune canzoni sono state scritte di nuovo per noi e registrate a Roma. Una era addirittura magnifica, ma non sono riuscito a scrivere un testo altrettanto bello come la sua musica.

Avete un rapporto fortissimo con il mondo musicale. Avete lavorato con i più grandi, da Bob Dylan a David Bowie. Come scegliete i soggetti per i vostri documentari? Dipende dalla musica che amate? Chris Hegedus: No, assolutamente. Quando girammo Don't Look Back e il manager di Dylan propose a Richard Leacock, che all'epoca lavorava con Penny, di fare un film su di lui disse, "Bob chi?". Tanto per farvi capire. Ultimamente abbiamo lavorato con i Depeche Mode, ma non abbiamo mai sentito le loro canzoni. Adesso però siamo diventati grandi amici. Poi è stata bellissima l'esperienza con i The National, un gruppo di Brooklyn che ha trasmesso per la prima volta nella storia i concerti su YouTube. Montavamo il materiale quasi in diretta e subito abbiamo avuto dei commenti dal Giappone. Un feedback istantaneo che ci ha impressionato.
Donn Pennebacker: Noi scegliamo i musicisti perché sono più accessibili dei politici (ride). Ci piacerebbe raccontare la vita dei banchieri, ma anche in questo caso non riusciamo proprio a contattarli.

Com'è nato il vostro sodalizio sentimentale e artistico? Il lavoro è stato in un certo senso galeotto per la vostra storia d'amore? Chris Hegedus: Ci siamo incontrati al lavoro. Io ne stavo cercando uno e mi sono presentata da Donn chiedendogli se aveva qualcosa per me. Mi ha mostrato una lunghissima colonna di film che andavano tutti montati e allora ho capito come potessi essergli utile. La verità è che rischiamo il divorzio ogni volta, ma non durante le riprese. Quello è un momento in cui andiamo molto d'accordo e in cui ci sosteniamo a vicenda. I problemi arrivano quando montiamo le pellicole. Però ci rispettiamo tanto e abbiamo lo stesso obiettivo, ecco perché alla fine stiamo sempre vicini.
Donn Pennebacker: Abbiamo due figli di 25 e 29 anni. Tra mille anni i film saranno scomparsi dalla faccia delle Terra, ma i miei geni ci saranno ancora.

Kings of Pastry è stato distribuito in America? C'è la possibilità di vederlo anche nei cinema italiani? Chris Hegedus: Il film ha avuto una grandissima distribuzione. E' stato proiettato in piccole sale indipendenti, dove hanno offerto anche dei buffet con i pasticcini, è stato trasmesso in TV ed è uscita anche una versione in DVD. Per quanto riguarda l'arrivo in Italia, beh ci piacerebbe molto se fosse disponibile per il pubblico italiano, ma al momento reputo abbastanza problematico il passaggio alla tv italiana, che preferisce concentrarsi sugli show pieni di celebrità che non sui documentari. Ed è un peccato, perché ritengo che sia un genere che ha grande riscontro presso gli spettatori. Il bello di festival come questo di Perugia è proprio darci la possibilità di mostrare lavori che altrimenti non potrebbero essere visti.
Donn Pennebacker: Questo è vero. Negli Stati Uniti i festival dedicati ai documentari hanno un grandissimo successo. Verrebbe da chiedersi perché questo succede. E non saprei dare una risposta. Quello che so è che vorrei vedere più documentari al cinema.

E' stato bello vedere il suo primo corto, Daybreak Express, per la sua capacità di coniugare sperimentazione e documentazione. Crede che oggi sia impossibile scrivere e dirigere documentari così innovativi dal punto di vista visivo? Donn Pennebacker: E' difficile tornare al 1953. Quando ho iniziato a girare non pensavo di fare un documentario, volevo solo realizzare qualcosa di bello e l'ispirazione mi è arrivata affacciandomi dalla finestra della mia casa al Village. Vedevo la sopraelevata dove passava la metropolitana e volevo trasformare qualcosa di brutto in un'opera d'arte. Seguendo un po' i dettami della scuola artistica dell'Ash Can, un gruppo di pittori, di cui faceva parte John Sloan, che hanno davvero influenzato il mio lavoro. Poi è arrivata la musica di Duke Ellington, Daybreak Express, una partitura che mi ricordava l'incedere di un treno e ho cominciato a mixare le due cose. Quando Ellington mi ha concesso i diritti del pezzo, dopo aver visto il corto, beh è stato il massimo. Una specie di beatificazione.