Recensione Society (1989)

La volontà del regista è oltremodo chiara: ritrarre in modo allegorico e provocatorio gli amorali ed ipocriti codici di condotta delle elites aristocratiche, capaci di celare dietro una falsa spontaneità e naturalezza la reale mostruosità del proprio essere.

Viaggio nella società degli orrori

Se dovessimo stilare una lista dei registi che hanno consegnato al cinema horror contemporaneo pellicole rappresentative di un filone che da sempre ha cercato di basare il pathos della visione filmica sul brivido e il terrore del narrato, il nome di Brian Yuzna non potrebbe che figurare ai primi posti. E non tanto per la sua dichiarata passione per il genere, peraltro fondata sulla costante ispirazione alla letteratura gotica del maestro H.P. Lovecraft ma piuttosto per la padronanza indiscutibile della macchina da presa quale strumento di lettura e messa in scena della più cupa e torbida fantasia.

Da Re-Animator a From Beyond per arrivare al fantascientifico Progeny, il leit motiv principale del cinema yuzniano è sembrato essere la tendenza ad esplorare confini ignoti alla dimensione sensoriale ma non per questo meno reali ed esistenti. A questo livello va colta la principale ed affascinante contraddizione della Weltanschaung autoriale: il fantastico come espediente per raccontare quanto di macabro, corrotto e inverecondo ci sia nella realtà. Se ciò che non si conosce, l'occulto, rinvia alle nostre più radicate paure e perciò viene da noi mascherato ideologicamente, ignorato e allontanato come fosse inesistente, non per questo esso non appartiene alla realtà. Anzi è insito in ogni cosa che ci circonda (luoghi, persone, oggetti) e la sua (ri)scoperta diviene tanto più terrificante quanto più è lungo il periodo di torpore mentale che, nel tentativo di preservarci, ne ha subissato l'evidenza.

E quale sarebbe la dimensione del reale più vicina a noi se non la società dove viviamo?
Society muove proprio da questo snodo concettuale. L'ambizione di Yuzna deriva dal voler raccontare una storia raccapricciante che fa da sfondo ad una più profonda allegoria sociale e politica. La sua genialità è di utilizzare uno stile provocatorio, surreale e visionario relegato alla forza più brutale delle immagini.

Scene adultere ed orgiastiche per rappresentare una violenza che si esprime nell'unione corporea deprivata della forma e della logica.
La volontà del regista è oltremodo chiara: ritrarre in modo allegorico e provocatorio gli amorali ed ipocriti codici di condotta delle elites aristocratiche, capaci di celare dietro una falsa spontaneità e naturalezza la reale mostruosità del proprio essere.

La straordinaria capacità di svelare l'invereconda "substantia" di tali ceti attraverso un linguaggio cinematografico essenziale nella sua brutalità e coinvolgente nella sua intenzionale denuncia della devianza costituisce ancora oggi una delle più grandi lezioni del regista filippino. E conferisce a Society la palma d'oro di film horror rivelazione degli anni Ottanta.