Recensione Shrek (2001)

Piccolo gioiello di animazione della Dreamworks, Shrek è un'irriverente favola post-moderna che vive sul sottile equilibrio della parodia dell'universo favolistico, senza però infrangerne gli archetipi sotanziali.

Una favola irriverente

Piccolo gioello di animazione della Dreamworks (alla quale fruttò 450 milioni di dollari di incasso solo nei cinema), Shrek è un' irriverente favola post-moderna che vive sul sottile equilibrio della parodia dell'universo favolistico, senza però infrangerne gli archetipi sotanziali.
Irriverente, è stato infatti l'aggettivo più usato per descrivere l'allegra e divertente storia dell'orco verde e del suo logorroico compagno: il ciuchino. E' proprio a questo personaggio, che è affidato l'incarico di smitizzare il mondo delle favole con la sua esuberanza linguistica e i suoi doppi sensi sessuali (ancora più espliciti, nel doppiaggio originale, eseguito da Eddie Murphy), oltre che naturalmente, alla stessa messa in scena e all'idea di fondo: la persecuzione e la tratta dei personaggi delle favole.

Sul piano della realizzazione tecnica il film è ineccepibile e all'avanguardia: dalla qualità dell'immagine, agli scenari. Tutto è studiato nei minimi particolari grazie al supporto della tecnica di animazione denominata Tradigitally, mediante la quale vengono fuse le tecniche tradizionali, con i nuovi artefatti digitali, fondamentali in termini di tridimensionalità e scorrevolezza delle immagini. Nello specifico, i meriti maggiori di questo salto in avanti, sotto il profilo della spettacolarità visiva, vanno rintracciati nello sviluppo di programmi come lo Sheder e il Flu, aventi lo scopo di conferire maggiore volume e verosimiglianza a tutti gli elementi di contorno.

Ma facciamo un passo indietro e ritorniamo al discorso che tanto ha smosso la critica all'uscita di Shrek: è questo un prodotto rivoluzionario? No, molto probabilmente no. Se lo è, lo è sotto il profilo tecnico (un po' come il primo, eccellente Matrix ), ma non sotto quello contenutistico-testuale. Seppur a dispetto di uno stile personale, furiosamente ammiccante e ricco di sfumature di ogni sorta; il film della Dreamworks, non ha la maturità poetica di un Toy Story, o la profondità de La città incantata - Spirited Away; di certo però è di una godevolezza e di un'ironia finissima, che lo renda appetibile anche ad un pubblico adulto e che in ogni modo necessita di una fruizione smaliziata.
Questa evocata rivoluzionarietà, è sicuramente più presunta che reale e mascherata dalla coperta corta di una trasgressività molto studiata a tavolino, furba ed evocante un postmodernismo un po' cialtrone e manieristico (a partire dalle musiche kitch e trendy, per finire alle plurime, inevitabili citazioni).

Far discernere da questa argomentazione, come molti hanno fatto, una risposta qualitativa non è però, del tutto corretto, perché il film, per quanto perfettibile, colpisce nel segno e se pur mantenendo immutate quelle che, qualcuno ben noto definirebbe: le caratteristiche morfologiche della fiaba, ci libera da una certa retorica pedagogica, tipica di molti prodotti Walt Disney.
D'altronde, non è solo la rottura con i canoni e l'innovazione, l'unico livello di analisi critica, specie per un prodotto di grande intrattenimento come un'animazione natalizia, a meno che non ci si rifaccia alla vecchia, cara estetica ed ai suoi dogmi teorici più inscalfibili.