Recensione Le chiavi di casa (2004)

Nonostante i rischi della tematica scelta, Amelio è stato abile a guardare l'evolversi del rapporto intimo tra padre e figlio dall'esterno, quasi in punta di piedi.

Un handicap d'affetto

Un tema difficile da portare sugli schermi, quello scelto da Gianni Amelio. L'handicap tocca sempre le corde del cuore, ma per camminare sul filo e non cadere nello scontato se non nel patetico occorrono doti di grande equilibrismo. Soprattutto se la storia riguarda un padre che dopo non aver nemmeno voluto vedere il ragazzo appena nato (la mamma è morta nel parto), lo conosce solamente a 15 anni, quando lo deve accompagnare a Berlino per una visita medica.

Il film (oltre che del regista lo script è di Sandro Petraglia e Stefano Rulli, quelli de La meglio gioventù) prende spunto dal romanzo "Nati due volte" di [FILM]Giuseppe Pontiggia[/PEOPLE] (richiamato anche nel film) ma non è, come tiene a sottolineare Amelio, una trasposizione del libro: alla stazione di Monaco di Baviera Gianni (Kim Rossi Stuart) prende in consegna Paolo (Andrea Rossi), il figlio quindicenne che non ha mai conosciuto. Gianni ha una nuova moglie e un altro figlio, e il suo imbarazzo nei confronti di Paolo è totale. Non sa cosa dire, come comportarsi, come agire. E' proprio Paolo invece che, pur nella sua disabilità, gli viene incontro e gli spiega in che modo aiutarlo. Non mancano momenti difficili, Paolo a volte ha comportamenti incomprensibili, ma il rapporto riesce a svilupparsi e a crescere, anche se Gianni deve fare i conti con la propria ignoranza su tutto ciò che riguarda il ragazzo.
Alla fine Gianni deciderà di prendere Paolo con sé, fra loro sarà raggiunto il traguardo della fiducia che consente a un papà di consegnare le chiavi di casa (qui ovviamente solo simboliche) al figlio adolescente, anche se la conclusione del film lascia con sé ancora un mare di dubbi laceranti.

Dicevamo dei pericoli insiti nel tema, ma Amelio è stato abile a guardare l'evolversi del rapporto intimo tra padre e figlio dall'esterno, quasi in punta di piedi. Non ha esitazioni a mostrare l'handicap anche nei momenti più duri, come quando Paolo deve andare al bagno, e riesce a ribaltare bene i ruoli con il ragazzo a far la parte del forte nel rapporto mentre Gianni si trova lui ad aver bisogno di aiuto, in una situazione di disabilità emotiva e affettiva. Amelio per riuscire a quadrare il tutto è stato aiutato in maniera decisiva dalla prova degli attori. Non deve essere stato semplice per il regista dirigere Andrea Rossi (che è disabile non solo sulla scena), ma il ragazzo mostra una spontaneità eccezionale, oltre a una carica di simpatia trascinante grazie anche al suo accento romanesco. Kim Rossi Stuart è bravissimo a calarsi nei panni del padre ricco di sensi di colpa, e trasmette uno smarrimento interno senza eccessi esteriori. A completare il terzetto Charlotte Rampling, nei panni della madre di una bambina con un handicap più grave di quello di Paolo e ricoverata nello stesso ospedale, che sarà una sorta di guida dei sentimenti per il confuso e spaesato Gianni.

Certo resta sempre l'ombra di un film che pur trattando un tema delicato rimane in qualche modo "facile", potendo giocare su emozioni scontate e in qualche modo obbligate. Per ragioni narrative, il rapporto tra padre e figlio evolve fra l'altro troppo in fretta, accentuando questa sensazione. Ma, come dicevamo, è l'argomento stesso che ingloba questi rischi. L'importante è averne fatto un film che senza dubbio non si dimentica in fretta.

Movieplayer.it

3.0/5