Recensione L'amore non va in vacanza (2006)

L'amore non va in vacanza presenta tutte le caratteristiche del più classico film di Natale made in Usa: grande cast, un tocco di ironia, molto buonismo e un pizzico di malinconia.

Un cinepanettone fuori stagione

Il target dei cinepanettoni made in Usa, scartando abilmente i vari Eragon, Deja vù - Corsa contro il tempo e via discorrendo, e attenendoci quindi al "film-per-famiglie" dei più tradizionali, rispetta sicuramente i canoni de L'amore non va in vacanza. E se la scelta della Universal è stata quella di non intasare ulteriormente le feste appena trascorse e di posticipare l'uscita ai primi di febbraio, ciò non toglie che quella messa su da Nancy Meyers si può benissimo configurare come una strenna un po' in ritardo. Non ce lo nascondono di sicuro le scenografie, piene di neve, di maglioni a collo alto e di caminetti sfrigolanti.
E se il film di Natale italiano, per quanto discutibile esso sia, non è altro che l'esasperazione e la stereotipizzazione dei tratti classici della commedia all'italiana, altrettanto si può dire del corrispettivo americano.

Gioco delle coppie, sentimentalismo dilagante, costruzione parallela di situazioni che conducono all'inevitabile equivoco, ambienti e location perfette e infiocchettate. Fino al cast d'eccezione, composto da stelle di Hollywood, prestate alla commedia dal grande appeal, dalle confezione perfetta e patinata. Si alternano sullo schermo Kate Winslet, Cameron Diaz, Jude Law e Jack Black, che danno vita ad un intreccio prevedibile e ordinario, che trova ragion d'essere non tanto nel fluire narrativo quanto nel rispondere esplicitamente ad un'esigenza di serena e spensierata tranquillità (fin dentro le svolte dell'azione, i climax "telefonati") del pubblico pagante.
Inutile dunque soffermarsi su una trama un po' così, che vede nella solita commedia degli equivoci (la lei medio borghese dal cuore affranto andare a casa dell'altra lei, sofisticato membro del jet-set losangelino, e viceversa) il proprio punto di forza, non tralasciando nulla del dovuto, tra battute al fulmicotone, patetismo qua e là e ovvio lieto fine pacificante.

Un'operazione ingenua, che regge però il confronto (vincendolo) con la nostra concezione spesso bizzarra di film contenitore/intrattenimento, giocando sul buonismo consolatorio piuttosto che sulla risata, restituendo così un sapore di cinema del passato (affermazione questa da prendere con tutte le molle del caso) e giocando sull'affezione del grande pubblico nei confronti del grande attore e della grande attrice, puntando sull'empatia sognatrice di un popolo che ha, qualche volta, bisogno di sognare.
E' poi indubbio che lo faccia in modo ripetitivo, banale e un po' stantio. Ma la pellicola non vuole essere nulla più di quel che è: un cinefumettone pieno di lustrini e di melassa, che non chiede più che un lieve sorriso piuttosto che l'accenno di una lacrima.