Un altro ferragosto, la recensione: la vita farà pure schifo, ma questo è un film bellissimo

La recensione di Un altro ferragosto: di commedie tragiche e di scaramucce malinconiche. Passato, presente e sopratutto futuro nel sequel di Paolo Virzì, tornato a Ventotene per chiudere i conti con un'Italia che non sa più sognare. Strepitoso.

Un altro ferragosto, la recensione: la vita farà pure schifo, ma questo è un film bellissimo

Tutto è cambiato, tutto è uguale a prima. C'è il cocomero e ci sono i tuffi dagli scogli. C'è l'illusione, c'è la rabbia, e c'è quel feticismo della memoria, che attanaglia e graffia. Inguaribili romantici, inguaribili sognatori, inguaribili malinconici. L'idealismo, anche cinematografico (perché di cinema si tratta), che risuona, feroce e potente, ma forse utopico in un futuro già arrivato. A voltarsi indietro, di tempo, ne è passato. Ma chissà, magari nemmeno poi tanto. Ci sono tutti, ma qualcuno manca. Perché un conto è la vita, e un conto è il cinema. Eppure, forse, per un paio d'ore, vita e cinema, diventano la stessa cosa. Aspirazione massima, ottenibile solo grazie alla scrittura, e solo dopo grazie alle immagini (e in un'epoca di cinema estetizzante, è bene ricordarlo). E non è un caso che Un altro ferragosto di Paolo Virzì, tornato a Ventotene quasi trent'anni dopo quel cult chiamato Ferie d'agosto - che è invecchiato, ma è invecchiato benissimo - si apra proprio con una lettera, quella che scrive Sandro Molino, ovvero Silvio Orlando, alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen.

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Un altro ferragosto: i Molino al completo. Crediti: Paolo Ciriello

E lo scriviamo in apertura di recensione: Un altro ferragosto è un film importante, nel termine più stretto del termine. È importante perché idealmente chiude (definitivamente?) gli Anni Novanta del nostro strano Paese, ed è importante perché per tono, regia, sceneggiatura e tutto il resto, è il miglior film di Paolo Virzì da Tutti i santi giorni. Ed è importante pure perché Un altro ferragosto, tra scaramucce e "cavalieri senza cavallo", prima che parlare dei Molino e dei Mazzalupi, parla di noi. Di com'eravamo, di come siamo, di come diventeremo. Virzì, come se fossimo negli Anni Sessanta, delinea alla perfezione gli umori della grande commedia tragica italiana, stravolgendo per ricostruire, ripartendo per arrivare. Sempre lì, su quell'isoletta di confinati patriottici, specchio di un'Italia che non lascia più spazio alla speranza.

Un altro ferragosto, o di quando c'eravamo tutti quell'estate a Ventotene

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Un altro ferragosto: Paolo Virzì e Sabrina Ferilli sul set. Crediti: Paolo Ciriello

Se non è facile strutturare un sequel, è complicato strutturare un sequel come Un altro Ferragosto. Bisogna rispettare e non tradire, ma al tempo stesso stravolgere, evolvere, sviluppare. Restare nel 1996, e piantarsi nel 2024. Ecco: quello di Virzì, con la sceneggiatura firmata insieme a suo fratello Carlo e insieme a Francesco Bruni (gli stessi di Ferie d'agosto, ovviamente), è la perfetta trasformazione di un microcosmo, in cui le beghe (in)volontarie tra due famiglie sono il riflesso di un'identità molteplice, a tratti spaventosa e a tratti dolcissima, a tratti grottesca e a tratti drammatica. Si ritrovano lì, i Molino e Mazzalupi, dove tutto è iniziato, e dove tutto sta finendo. Sandro, malato terminale, riportato a Ventotene dal figlio Altiero (Andrea Carpenzano) per un'ultima vacanza tutti insieme: la compagna Cecilia (Laura Morante) con la figlia Martina (Agnese Claisse), l'amico Roberto (Gigio Alberti), e poi Graziella (Claudia Della Seta) e Betta (Raffaella Lebboroni) con il figlio Ivan (Emilio Bianchi). Ci sono tutti, i Molino. C'è pure Mauro (Silvio Vannucci), che a Ventotene c'è rimasto, trovando (forse l'unico) un bagliore di felicità.

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Un altro ferragosto: Vinicio Marchioni e Anna Ferraioli Ravel. Crediti: Paolo Ciriello

E i Mazzalupi? Qui, qualcuno manca. Ma se la mancanza artiglia la messa in scena di Virzì, che riempie gli spazi con dei meravigliosi frammenti di Ferie d'agosto (dedicando il film alle mancanze stesse), i Mazzalupi sono ancora gli stessi. Rumorosi, ingombranti, caciaroni. O forse no, sono ancora gli ingenui che erano, e che resteranno. A Ventotene torna ciò che ne rimane, tra fantasmi e spiriti allegri, tra smorfie e denti stretti: l'occasione, per loro, è il matrimonio di Sabrina (Anna Ferraioli Ravel) che si sta sposando con Cesare (Vinicio Marchioni). Lei è diventata influencer, lui traffichino cafone di voti politici, spingendola a lanciarsi in politica per "costruire un nuovo volto italiano". Il matrimonio sa da fare? Se Mamma Luciana (Paola Tiziana Cruciani) ha la testa tra le nuvole, spiazzata dai ricordi di una villetta carica di ricordi, zia Marisa (Sabrina Ferilli), che sull'isola si è portata il compagno istrione (e fallito) Pierluigi (Christian De Sica) e il figlio Fabio (Fabrizio Ciavoni), del matrimonio non ne vuole sapere.

Di umana commedia, di umana tragedia

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Un altro ferragosto: Emanuela Fanelli e Vinicio Marchioni. Crediti: Paolo Ciriello

E poi? E poi, seguendo il flusso, Paolo Virzì, nell'ultima ora, li incrocia di nuovo. I Mazzalupi e i Molino, come i Montecchi e i Capuleti, come i Guelfi e i Ghibellini. Li amalgama, come nel 1996. Li amalgama per un attimo, e poi li lascia sfuggire, ognuno dietro i propri guai, i propri rancori, i propri rimorsi. Umana commedia, umana tragedia. Eccolo qua, Un altro ferragosto, riassunto tra l'estro di Sabrina Ferilli e quello di Christian De Sica (sono una meraviglia nei loro umori stropicciati), tra un orrorifico Vinicio Marchioni e gli occhiali neri di Emanuela Fanelli, personaggio deus-ex-machina scritto in modo ineccepibile. Eccolo di nuovo, nella limonata di Laura Morante, negli occhi persi di Silvio Orlando, attaccato ad un'Italia che non c'è più, e che forse non c'è mai davvero stata. Nella fluida messa in scena del regista, che riempi la scena di dettagli, spostando l'azione tanto davanti quanto sullo sfondo, ogni sguardo si attacca ad un altro, cercando uno spazio nevralgico nel racconto che si costruisce attorno ad un mondo che non sogna più, e che anzi cova rimorso, odiando più che amando.

E cosa resta, alla fine? Resta che non sappiamo nemmeno più litigare, e nemmeno più fare la rivoluzione borghese o popolare. Ritratto feroce e disilluso, che si compie nel cinema di Virzì, probabilmente mai tanto divertente e divertito, e probabilmente mai tanto crudele e oscuro. Un film frutto del passato, ma soprattutto figlio del futuro: Un altro ferragosto è un viaggio nel tempo che va in avanti, è il frutto di una politica che non fa più politica, giocando con gli slogan e con i riferimenti, azzerando ogni coscienza, e vivendo di pancia. In particolar modo, Un altro ferragosto di Paolo Virzì, nel suo continuo e folgorante movimento (come sottolineato dalla macchina a mano, che si sposta di volto in volto), è cinema che cerca lo sforzo e lo stimolo, svegliando il pubblico, tanto con una risata, quanto con una lacrima. Del resto, se la vita sarà pure 'na merda, questo è un film bellissimo.

Conclusioni

Lo abbiamo scritto nella nostra recensione: Un altro ferragosto di Paolo Virzì è un film che abbiamo profondamente amato. Un sequel che evolve l'originale, in un'eredità di personaggi che si scontra un'epoca oscura e disillusa, carica di rimorsi e di rabbia. Il cinema di Virzì, mai così preciso, miscela allora la smaccata commedia alla tragedia per eccellenza, lasciando da parte i sogni, e guardando il futuro con uno sguardo decisamente inaspettato.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.0/5

Perché ci piace

  • La scrittura.
  • L'umore perfetto di un sequel.
  • Il cast è strepitoso.
  • Il mix tra commedia e tragedia.

Cosa non va

  • Attenzione al finale: non un lato negativo, ma qualcosa su cui riflettere senza superficialità.