Recensione The Duke of Burgundy (2014)

Omaggio ai film erotici degli anni '70, il nuovo film del britannico Peter Strickland, The Duke of Burgundy, presentato in concorso al Torino Film Festival, è un raffinato lungometraggio che sotto la copertura "ad effetto" della sexploitation lesbo nasconde un cuore melodrammatico, non sempre valorizzato.

Siamo in un paese mitteleuropeo non meglio identificato. Evelyn e Cynthia sono delle entomologhe legate da uno strano rapporto di dipendenza. Le due si amano e nella splendida casa di Cynthia mettono in scena un gioco sadomasochistico in cui (s)vestono i panni di una padrona e di una serva che deve obbedire ad ogni singolo capriccio della sua datrice di lavoro. Pena, delle "terribili" punizioni.

In un rincorrersi continuo di copioni da rispettare, rigorosamente scritti da Evelyn per limitare al massimo gli errori da parte della compagna, la coppia vive un rapporto che si trasforma lentamente in sopraffazione e che pian piano diventa una gabbia da cui Cynthia non sa uscire. Perché quella giovane donna dagli occhi verdi rappresenta la vita intera e non sa separarsi da lei, anche davanti ai ripetuti tradimenti della donna.

Come una farfalla

The Duke of Burgundy: la protagonista del film Sidse Babett Knudsen in un'immagine
The Duke of Burgundy: la protagonista del film Sidse Babett Knudsen in un'immagine

Letto come omaggio ai grandi classici della sexploitation lesbo degli anni '70, il nuovo film del britannico Peter Strickland, The Duke of Burgundy, presentato in concorso al Torino Film Festival, è perfino troppo casto e ricercato. Ciò che non ha convinto pienamente dell'opera terza dell'autore di Berberian Sound Studio è il senso stesso di un'operazione che sembra molto affascinante ma decisamente vuota. Accompagnati dalle belle musiche del duo pop Cat's Eyes, le immagini che scorrono davanti ai nostri occhi sono curate in ogni minimo dettaglio (merito della fotografia di Nic Knowland), precise quasi quanto lo sono le due protagoniste nel catalogare insetti e farfalle. E proprio come questi, senza vita. Assistiamo ai giochi pericolosi delle due protagoniste che ogni giorno mettono in scena nuovi livelli di abnegazione, fingendo spudoratamente di contravvenire alle severe regole della casa per ottenere la tanto sospirata punizione. Il meccanismo diventa trappola narrativa quando viene reiterato e mostrato più volte, con un montaggio che prova a confondere le carte in tavola.

Una donna e una donna

Dove Peter Strickland riesce in pieno è nel saper restituire la dimensione decadente della storia, quelle passioni, inesplose e non, di una coppia che concepisce la propria vita affettiva e sessuale in maniera fuori dall'ordinario. Tra i momenti più divertenti, l'arrivo di un'esperta di mobili costruiti ad hoc per soddisfare certe esigenze, letti che imprigionano o "toilette umane", che svela senza mezzi termini come certe procedure siano di moda anche in case insospettabili. E' bravo insomma ad alleggerire una storia di grande intensità utilizzando un tono sardonico e ribaltando in maniera ironica la dialettica servo-padrone, trasformando colei che crediamo essere la vittima, in vero "carnefice", incapace di comprendere l'amore profondo che prova la sua compagna.

Tuttavia, la statura "tragica" del personaggio interpretato dalla danese Sidse Babett Knudsen, una donna non più giovane che si strugge d'amore per l'amante (Chiara D'Anna) e che per lei è disposta a compiere qualunque cosa, anche indugiare in una serie di riti sadomasochistici, si annacqua in un racconto fumoso che disperde quanto di buono lasciato intravedere. Disperdere questo humus, allargarlo a dismisura fino a farlo sparire non contribuisce certo a rendere godibile la fruizione della pellicola.

The Duke of Burgundy: Chiara D'Anna con Sidse Babett Knudsen in una scena del film
The Duke of Burgundy: Chiara D'Anna con Sidse Babett Knudsen in una scena del film

Conclusioni

Peter Strickland ci racconta questa storia di ribollente sensualità in maniera confusa, perdendosi in una lunghissima serie di inutili raffinatezze e strutturando la narrazione in andirivieni temporali nocivi alla comprensione del film, infiocchettando all'inverosimile la storia, sfiorando un fastidioso autocompiacimento.

Movieplayer.it

2.0/5