Recensione La voltapagine (2006)

Il carattere dei musicisti, fragile e forte in uno, perché dominato dal temperamento artistico ma sconvolto dall'approccio al reale, non poteva essere descritto da altri che da un musicista stesso.

Tempo di riscatto

Melanie è una giovanissima e promettente pianista. Determinata a fare della sua passione una ragione di vita, partecipa ad un'importante concorso al conservatorio, ma un imprevisto ne compromette il buon esito e da quel giorno rinuncia al pianoforte.
Dieci anni dopo, ormai adulta, viene assunta come voltapagine da una nota concertista, che riconosce esser stata la causa del suo abbandono. Da quel momento, la loro vita non sarà più la stessa.

Presentato a Cannes 2006, al Courmayeur Noir Festival e impalmato col premio Napapijri a Deborah Francois, per la miglior interpretazione, La voltapagine è l'ultima fatica di Denis Dercourt. Il regista francese, oltre ad essere noto in patria per pellicole quali Mes enfants ne sont pas comme le autres e Lise et André, è stato solista di viola per l'Orchestra Sinfonica Francese e attualmente professore di musica da camera al Conservatorio Nazionale della Regione di Strasburgo. Proprio queste competenze hanno consentito di interpretare al meglio i sottili sentimenti che si delineano in controluce in questo controverso lungometraggio. Il carattere dei musicisti, fragile e forte in uno, perché dominato dal temperamento artistico ma sconvolto dall'approccio al reale, non poteva essere descritto da altri che da un musicista stesso.

La vicenda apparentemente banale, di un sogno bambino infranto, viene narrata con lucida consapevolezza di chi ha vissuto emozioni analoghe. Il dialogo col pubblico è sempre appena sussurrato ma l'ambiguità dei fatti s'insinua a tal punto nello spettatore da suscitare uno spontaneo senso d'inquietudine.
È la vendetta il tema predominante; quella di chi, come Melanie, ha visto infrangere i suoi sogni, venendo calpestata senza riguardi da quella che, giovane ed affermata, rappresentava la meta cui tendere. L'odio che nasce dalla delusione di non essere perfetta viene riversato su Ariane, incurante del mondo che la circonda, unicamente concentrata su sé stessa in una completa adorazione edonistica del suo talento. Così, covato per anni, il momento della rivalsa arriva per Melanie che ha saputo attendere nell'ombra, mettendosi sulle tracce di Ariane fino a quando riesce a carpirne la fiducia diventandole indispensabile e addirittura a farla innamorare di sé. Ariane, in totale balia della ragazza si lascerà travolgere dalle emozioni perdendo tutto ciò che ha.
Come la voltapagine ha un ruolo chiave in temi di preparazione e fiducia in campo concertistico, pur rinunciando al ruolo da protagonista, così la ragazza diventa punto di riferimento per la pianista, rimanendole al fianco per poi abbandonarla nel momento cruciale. Un distacco che la lascia nel vuoto dell'insicurezza, come quello della delusione provata da Mariane bambina.

Meravigliosa la narrazione sempre velata da un'ombra di dubbio e di sospetto su ciò che sta per accadere e che forse non accadrà mai, sospinta da un'empatia ipnotica fra le protagoniste che avvince ad ogni fotogramma. La dicotomia di sentimenti fra le donne è un balletto irresistibile: ora complici nella sudditanza di una verso il talento dell'altra, ora avvinte dal bisogno di sicurezza e dalla volontà di infonderlo. Melanie distrutta dalla delusione di un sogno, totalmente raggelata intorno alla sua sete di vendetta, fredda ed impassibile; Ariane, protesa all'inseguimento di una fama che le sta scivolando fra le dita e di una giovinezza che si appanna poco a poco. Un passo a due, fra persone che si specchiano nelle reciproche somiglianze, avvinte in un abbraccio fra vittima e carnefice che ha attraversato il tempo.
La vita per Melanie si è fermata a quell'esame mai superato, così come quella di Ariane, nel giorno in cui la giovane è entrata nelle sue grazie. Non vita quella della prima, unicamente protesa alla distruzione dell'altra; angoscia quella della seconda, in una continua sopravvivenza al proprio fantasma.

Ottimi i dialoghi, essenziali e calcolati per far crescere sempre più la tensione che serpeggia come in un noir d'altri tempi, fino a lasciar intuire il drammatico epilogo accennato appena dagli sguardi dei protagonisti. Subdolo, indefinito eppure tagliente ma mai sfacciato.
Inevitabile il richiamo a La pianista di Haneke in cui una Isabelle Huppert in stato di grazia illuminava una vicenda al limite del grottesco che si sfilacciava in corso di narrazione. Più moderati i toni di Dercourt che si avvale di due ottime interpreti, ma della sola esperienza della Catherine Frot a fronte della semiesordiente Déborah François.
Scarno, essenziale, eppure denso d'emozioni, intessute di musica sinfonica ora sincopata, ora fluida, ma sempre coinvolgente.