Shrek 20 anni dopo: e vissero per sempre orrendi e contenti

In occasione dei suoi vent'anni, riscopriamo Shrek, il capolavoro della DreamWorks Animation diventato cult.

FIona e Shrek in una romantica scena del film Shrek (2001)
FIona e Shrek in una romantica scena del film Shrek (2001)

Esattamente vent'anni fa, il 22 aprile 2001, andava in scena a Westwood, in California, la premiere di Shrek. Dopo quel giorno, il film iniziò un percorso che lo portò poco alla volta a vivere un anno più unico che raro. Un anno che, ancora oggi, viene ricordato come una sorta di spartiacque. C'è un prima e c'è un dopo Shrek. Sia per quanto concerne le logiche artistiche e commerciali della Dreamworks Animation (la casa di animazione fondata da Geffen, Katzenberg e Spielberg che diede i natali all'orco verde), sia per quanto riguarda le tendenze del cinema d'animazione mainstream. Dopo essere stato presentato in concorso al Festival di Cannes nel maggio dello stesso anno (privilegio riservato a pochissimi lungometraggi animati nell'intera storia della kermesse francese), il film arrivò a toccare l'apice del successo la notte del 24 marzo 2002 quando si aggiudicò il primo Oscar della Storia come miglior lungometraggio animato. La categoria dedicata a questo genere di lavori infatti non esisteva fino a quel momento e Shrek ebbe così l'onore di vincere il premio imponendosi sul rivale Monsters & Co. della Pixar.

Shrek entra in scena

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I personaggi di Shrek

Tutta la forza innovativa di questo lavoro è presente nei primissimi minuti del film. Il prologo di Shrek si apre infatti in maniera molto classica (e con tale aggettivo si intende l'accezione disneyana del termine, dato che il canone per eccellenza fino a quel momento era la casa di Topolino). Un libro di favole viene sfogliato dal narratore mentre, con una voce fuori campo, questi legge ad alta voce le mirabolanti avventure contenute al suo interno. Ovviamente, la storia narrata riguarda principi, principesse e draghi sputafuoco. Tutto sembra volgere verso l'inevitabile finale (il bacio salvifico del vero amore) quando all'improvviso il racconto si interrompe proprio a causa del narratore che, decisamente scettico su quanto appena letto, strappa la pagina dal libro, si fa una risata e la usa come carta igienica. Quando per la prima volta in assoluto l'orco verde Shrek entra in scena, sta uscendo da una latrina ed è intenzionato a dirigersi nella sua amata palude dove lo attendono una doccia di fango, un dentifricio all'essenza di larva e una serie di indicibili attività che per lui, invece, sono il massimo della vita. Sono pochi minuti, ritmati dalla hit All Star del gruppo punk rock Smash Mouth, in cui però abbiamo a che fare con una sorta di manifesto poetico del percorso intrapreso dalla Dreamworks e al contempo un'anteprima della direzione che avrebbe preso il cinema d'animazione negli anni seguenti. Procediamo con ordine.

Il ribaltamento del canone Disney

Shrek, il tembile orco
Shrek, il tembile orco

La parodia nei confronti del canone, del classico Disney, è chiaramente alla base del progetto. Dreamworks, anche se sarebbe meglio parlare di Katzenberg, ha il dente avvelenato per alcuni trascorsi e vuole ora togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Tuttavia, la caricatura del mondo delle favole e il consolidamento di una struttura narrativa simmetricamente opposta a quella della fiaba tradizionale non sono solamente intuizioni dovute a una mera questione personale. Shrek prende piede dal modello Disney per discostarsene volutamente: l'orco cattivo è il protagonista mentre il principe azzurro l'antagonista; la bella principessa è una maleducata guerriera e il cavallo bianco dell'eroe un asino petulante; la palude sporca e puzzolente è il vero reame a cui ambire; Shrek non cerca la gloria ma brama la sua solitudine; sul finale del film non sarà la bestia a trasformarsi in "bella" ma viceversa e via dicendo. Tutti questi dettagli sono mirati a far dialogare il film con un target di riferimento ben preciso: quello degli esclusi. La poetica degli emarginati è un po' il marchio di fabbrica di Dreamworks sin dagli albori (Z la formica, primo lungometraggio di questa casa, racconta della più depressa e "inutile" formica del mondo, che si chiama appunto come l'ultima lettera dell'alfabeto). Qui però trova la sua maturità più completa e compiuta, riuscendo a innalzare il valore del diverso, del mostro e facendo empatizzare con l'orco verde dal cuore d'oro tutta una fetta di pubblico che non riusciva a rispecchiarsi negli animali carini e coccolosi di Disney, né tanto meno con le loro melense canzoni. Shrek, quindi, sposa lo sporco, il grezzo. Sposa uno humor nero politicamente scorretto e si lascia serenamente affiancare dalla musica punk rock. La formula funziona eccome. Non solo è la rivincita di Katzenberg su Disney, ma è anche la rivincita del comune, del quotidiano sul mondo idealizzato e magico delle favole.

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L'influenza sul mondo dell'animazione

Shrek: il malvagio Lord Farquaad tortura il povero Pan di Zenzero
Shrek: il malvagio Lord Farquaad tortura il povero Pan di Zenzero

Alla stessa maniera, non solo il film diventa il manifesto di una casa di produzione ma, soprattutto dopo il grande successo coronato appunto dall'Oscar, influenzerà la maggior parte dell'animazione mainstream nelle decadi successive. È infatti innegabile che oggi, dopo venti anni di produzione, questo settore abbia risentito enormemente della presenza di Dreamworks invece che di Disney o Pixar. Si pensi ai progetti di case come Aardman, Illumination, Blue Sky o Laika. Si pensi allo stile ruvido, scanzonato, adulto presente nei loro film, alle musiche usate, al fascino per la figura del cosiddetto cattivo o anche solo alla voglia di iniziare a instaurare un dialogo più con gli adulti che con bambini o ragazzi. Film come Coraline e la porta magica, L'era glaciale, Cattivissimo me, Pets - Vita da animali, Pirati - Briganti da strapazzo sono tutti stati influenzati dall'apertura inaugurata con Shrek. Grazie a quel film, il cinema di animazione ha iniziato anche in occidente a essere seguito, stimato e apprezzato da un pubblico sempre più adulto: prima cercando di accontentare i genitori dei bambini "costretti" in sala per accompagnare i figli, poi provando a coinvolgere gli adolescenti (da sempre i più ostili a tale tecnica di spettacolo).

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Gli anni Duemila del cinema

Shrek
Una scena di Shrek

Gli anni Duemila, sotto diversi punti di vista tra i quali anche però quelli denotati dal cinema di animazione, sono stati anni "orrendi e contenti". Il cinema ha dovuto fare i conti con la presa di coscienza di non poter più scolpire un immaginario. La potenza del grande schermo ha poco alla volta ceduto il passo di fronte ad altre tipologie di intrattenimento (da quello seriale a quello online, passando ovviamente per fumetti e videogiochi) che sono state maggiormente in grado di intercettare il gusto del pubblico. Ecco allora che il cinema si è fatto sempre più piccolo, sempre più comune e meno sensazionale, meno magico o favolistico. Si è fatto sempre più "brutto". Eppure questo non ha permesso al settore di non prendersi qualche sua bella soddisfazione, anzi. Se la filiera continua a prosperare è proprio per via di un'attenzione e una fidelizzazione che riescono a resistere nonostante tutto. Shrek ha permesso di fare mente locale sulla strada da percorrere nel nuovo millennio e ha spalancato gli orizzonti di un'industria da sempre un po' troppo pigra e miope nel pensare solamente al proprio orticello. L'orco verde e il suo logorroico amico a quattro zampe hanno esternato un sentimento che il pubblico di tutto il mondo covava da tempo e non era ancora riuscito a vedere rispecchiato dal grande schermo. Dreamworks ha così gettato la maschera e premiato la sincerità di chi, semplicemente perché diverso rispetto alcuni standard, non temeva ora di mettersi in mostra in prima persona. "Meglio fuori che dentro" insomma, proprio come quando si tratta di dover rigurgitare il pranzo di fronte a una principessa.