Recensione Revivre (2014)

Un dramma duro e rigoroso, quello di Im Kwon-taek, che tratta in modo diretto il tema della malattia e della morte, affiancandolo a quello delle pulsioni che si agitano, incontrollabili, nella mente dell'individuo.

La vita di Oh, direttore del marketing per un importante azienda di cosmetici, sta per cambiare per sempre. La moglie, infatti, ha appena subito una ricaduta del tumore al cervello che la affliggeva anni prima; la donna viene immediatamente sottoposta a intervento chirurgico, ma la prognosi è fatalmente negativa. Mentre il fisico della donna si deteriora sempre più, e Oh deve passare sempre più tempo ad assisterla, la mente dell'uomo è anche altrove: nell'azienda per cui lavora, infatti, ha appena fatto il suo ingresso Eun-joo, manager del marketing e donna molto avvenente, che finisce per suscitare le sue attenzioni. Oh si ritrova diviso, moralmente scisso, tra i sentimenti di affetto per sua moglie, col dolore che gli suscita l'avvicinarsi della sua fine, e l'attrazione sempre più forte per Eun-joo.

Tra i maestri del cinema sudcoreano, con un cinquantennio di carriera alle spalle, Im Kwon-taek torna alla Mostra del Cinema di Venezia (fuori concorso) con questo Revivre. Dopo aver affrontato, nella sua lunga filmografia, praticamente tutti i generi cinematografici, il regista tratta in quest'opera il tema del dramma familiare (e del dolore della perdita) mescolandolo con quello di una pulsione irresistibile, e inconfessabile, che si presenta, per il protagonista, nel momento più impensato.

Revivre: Kim Gyu-ri con Ahn Sung Ki in una scena del film
Revivre: Kim Gyu-ri con Ahn Sung Ki in una scena del film

Un'anima scissa

Il film di Im si presta dunque ad esplorare quel limbo emotivo in cui un individuo, di fronte alla malattia e all'imminente separazione da un proprio caro, si viene inevitabilmente a trovare; al dolore centellinato, all'angoscia per il progressivo e visibile deterioramento del corpo e della mente, si contrappone l'attesa della fine, l'inconfessabile desiderio che il declino faccia il suo corso nel modo più rapido, l'inevitabile voglia di riappropriarsi della propria vita. Quest'ultima, nel film, è simboleggiata dalla figura di Eun-joo, apparizione che la mente del protagonista trasforma in emblema (quasi diabolico) di una tentazione: l'attrazione per la giovane donna, vissuta da Oh con crescente senso di colpa, significa abbandono e tradimento, pur solo mentale, della donna da lui amata per tutta la vita, ritratta ora nel momento di maggiore debolezza.
Il regista rappresenta in modo onirico la figura della giovane donna, in sogni e visioni che la ritraggono fisicamente come demone tentatore; dionisiaco emblema di una dissoluzione che si contrappone alla forza dei legami, delle aspettative sociali, e allo stesso potere dell'etica, che vuole l'uomo vicino alla moglie nell'attesa della fine. Il processo è tutto interno alla mente di Oh, e non trova riscontri nella realtà concreta: Eun-joo, timida e scrupolosa sul lavoro, sta infatti per sposarsi, e si accorge a malapena dell'interesse del collega. Il regista trasfigura fantasticamente la figura della donna, dandole una valenza simbolica che è quella attribuitale dalla mente provata, e scissa, del protagonista.

Rigore ed emozioni

Revivre: Ahn Sung Ki in una drammatica scena del film
Revivre: Ahn Sung Ki in una drammatica scena del film

Malgrado le parentesi oniriche (tra le quali si segnala il prologo, riproposto nei minuti finali, e solo allora pienamente comprensibile) Revivre è improntato per larga parte all'asciuttezza narrativa e al realismo. Con un montaggio che alterna passato e presente, mostrando subito il momento della morte della donna (e depotenziandone così la carica più facilmente melodrammatica) Im esplora il prima e il dopo, tenendo la macchina da presa sempre vicina al suo protagonista (un intenso Ahn Sung-ki, già col regista in Ebbro di donne e di pittura) allargando l'obiettivo giusto il necessario per mostrare le persone (in primis, ovviamente, la stessa moglie) che entrano in contatto col suo mondo. Il regista, che avrebbe potuto trarre dal soggetto un classico melò, tiene invece costantemente a bada la componente emotiva della storia: non avendo paura di mostrare gli effetti e le conseguenze della malattia, la realtà quotidiana del deterioramento, i dettagli del declino che consumano il corpo della moglie dell'uomo, violentando la sua stessa realtà di donna. Nella rappresentazione dell'altro terminale della vita di Oh, la giovane collega, colpisce invece lo iato, l'evidente distanza tra la rappresentazione mentale che il direttore d'azienda ha di lei, e la realtà quotidiana della sua figura; remissiva, scrupolosamente dedita al lavoro, pronta a scusarsi (e addirittura ad umiliarsi) dopo un rimprovero subito, in un'intensa e significativa sequenza. Nel rigore che Im mantiene, in entrambi i piani temporali, per tutta la narrazione della sua storia, solo i minuti finali fanno una parziale apertura alla componente melodrammatica; subito riassorbita, pienamente e consapevolmente, nell'ultima sequenza, che ribadisce la forza delle convenzioni sociali. Forza che attraversa tutto il film, e che il regista contrappone costantemente, dialetticamente, alle pulsioni che si agitano, incontrollabili, nell'anima del protagonista.

Conclusioni

Un'opera come Revivre conferma la vitalità, e anche la modernità (nella rappresentazione della realtà lavorativa sudcoreana) del cinema di un autore come Im Kwon-taek. Il modo in cui il suo dramma arriva, duro e diretto, allo spettatore, e il rigore in cui scandaglia la mente, e l'anima, del suo protagonista, rappresentano i suoi pregi principali, e i motivi che ne rendono preziosa la visione.

Movieplayer.it

3.5/5