Recensione Reality (2014)

Un'altra follia firmata Quentin Dupieux, un incastro di sogni in cui lo spettatore si smarrisce alla ricerca della realtà del titolo.

Sogno, finzione. Due concetti che si pongono diametralmente all'opposto di quello di realtà; due concetti che al più ne possono essere una più o meno libera, più o meno cosciente rappresentazione. Da essi alla realtà, o viceversa, il passo può essere però breve, lo stacco invisibile, e questo può disorientare e confondere.

E' un effetto che tanti cineasti cercano con risultati di alterno valore e che diventa forma e sostanza del nuovo lavoro di Quentin Dupieux, cineasta che ha fatto del surreale e dell'assurdo la sua bandiera. E questo suo nuovo film, presentato nella sezione Orizzonti alla 71ma edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, si focalizza fin dal titolo su uno degli elementi di questo contrasto, Reality (la realtà), ma pur rifuggendola totalmente nella sua struttura narrativa.

La ricerca della perfezione

Reality: Alain Chabat in cerca dell'urlo perfetto in una scena del film
Reality: Alain Chabat in cerca dell'urlo perfetto in una scena del film

La ricerca della perfezione è difficile. Il volto perfetto, l'abito perfetto, il ruolo perfetto... Ed anche l'urlo perfetto. Importante nel caso si voglia girare un horror, come nel caso di uno dei personaggi che animano Reality. Terzo cameraman per un bizzarro show di cucina, presentato da un tizio vestito da ratto, Jason vuole dirigere il suo primo film horror e trova l'appoggio di Bob Marshal, un facoltoso produttore che però pone un vincolo: Jason ha 48 ore per trovare l'urlo perfetto, il migliore della storia del cinema. A Jason non resta che provare, registrando, chiuso nella sua auto, una dopo l'altra decine di versioni di gemiti, lamenti e vere e propria urla, mentre intorno a lui la realtà inizia a farsi ambigua e sempre più onirica e lui finisce per perdersi, letteralmente, nel mondo dei sogni... O incubi. E' solo una delle storyline del film, che si intrecciano tra loro accavallandosi: c'è anche la ragazzina che rinviene una VHS nella pancia di un cinghiale catturato dal padre (VHS che tra l'altro contiene il film stesso in via di produzione), un insegnante delle superiori ed altri momenti difficili da classificare.

Incastri di sogni

Reality: Jonathan Lambert in una scena del film
Reality: Jonathan Lambert in una scena del film

Surreale fin da subito, con il presentatore vestito da ratto e la sua allergia, ma soprattutto con l'attenzione a Jason e la sua bizzarra ricerca dell'urlo perfetto, è solo nella sua seconda parte che Reality mette in scena la sua vera anima, quando la struttura narrativa costruita da Dupieux si sgretola per lasciar posto ad un labirinto di sogni tra i quali perdersi alla ricerca dellla realtà che dà il titolo alla pellicola. È così che con un sottofondo musicale ipnotico (la musica è del regista stesso), un loop che di per sè sarebbe snervante ma amplifica il senso di smarrimento, le diverse storyline raccontare dall'autore si spezzano, si sovrappongono, si confondono e conducono lo spettatore in una deriva dalla quale è necessario lasciarsi trascinare. Senza fare (e farsi) troppe domande, senza cercare di individuare una logica che potrebbe non esserci, senza cercare una metafora, seppur quest'ultima potrebbe in realtà esserci. Se lo si fa, si resta inevitabilmente spiazzati e forse delusi, perché quello di Dupieux è un cinema che non cerca di offrire domande o risposte, ma viaggi in una realtà diversa e bizzarra. Qualcuno potrebbe obiettare che nessuna delle storia non è particolarmente divertente in quanto tale, che i singoli elementi possono essere poco incisivi presi da soli, o che essere strani può essere piuttosto semplice e fine a sé stesso. Tutto vero, ma il modo in cui il regista mette insieme tutti gli ingredienti della storia riesce a catturare lo spettatore nella sua rete onirica.

Reality: una scena del film
Reality: una scena del film

Conclusione

Con Reality, Quentin Dupieux conduce lo spettatore in un viaggio da un sogno all'altro, in un labirinto onirico nel quale perdersi alla ricerca della realtà a cui fa riferimento il titolo. Non è cinema impegnato, non è forse nemmeno particolarmente divertente, a dirla tutta, ma non lascia indifferenti, conquistando con la sua follia.

Movieplayer.it

3.5/5