Recensione Mental (2012)

Accantonate le atmosfere più patinate che hanno caratterizzato prodotti hollywoodiani come Il matrimonio del mio migliore amico, P.J. Hogan s'impossessa nuovamente di una voce australiana più grezza che, mitigata con una comicità black, riesce a ricondurlo alle atmosfere de Le nozze di Muriel, per poi superarle.

Tutti insieme follemente

La teoria di Shaz sulla nascita dell'Australia e la natura dei suoi abitanti è chiara, nonostante l'evidente vena di follia che la caratterizza. Secondo questa "moderna" governante con tanto di minigonna, look aggressivo ed un coltello ben piantato negli stivali da cowboy, il paese deve la sua nascita non solamente all'originaria definizione di colonia penale, ma anche a quella di rifugio per malati mentali. Dunque, stando a questa innovativa ricostruzione storica, gli australiani godono non solamente di origini discutibili, ma anche di una salute mentale vacillante. Ognuno di loro sembra essere affetto da una sindrome ben precisa che, dalla schizofrenia alle manie compulsive, viene tenuta attentamente sotto controllo dal governo, impegnato a tessere le trame di un oscuro esperimento antropologico. Certo, poi ci sono elementi sani come ad esempio Nicole Kidman, Hugh Jackman, Cate Blanchett e Russell Crowe - anche se in quest'ultimo caso non tutto è andato per il verso giusto - che riescono ad interagire con il mondo esterno mentre agli altri non rimane che fare i conti con le proprie nevrosi quotidiane protetti dall'isolamento del paese. Probabile o completamente fantasioso che sia, questo discorso ha comunque il compito e l'effetto di sollevare il morale alle cinque ragazze Moochmoore, visto che ognuna di loro, con tanto di manuale alla mano, è convinta di essere l'esempio evidente di una disfunzione mentale senza possibilità di cura.

In realtà, solamente Michelle, minacciata ogni notte dall'arrivo di immaginari extra terrestri, soffre di schizofrenia mentre tutte le altre sono semplicemente il prodotto di una famiglia disfunzionale che, tra una madre in preda ad una maniacale passione per Tutti insieme appassionatamente, un padre assente per rincorrere una carriera politica locale ed una zia appassionata più di bambole che di esseri umani, non presta attenzione alle loro esigenze. Dunque, come sarebbe stata la vostra infanzia se foste cresciuti all'ombra del mito canterino della famiglia Von Trapp e all'interno di un microcosmo sociale dove tutti sono pronti a puntare il dito sulle debolezze altrui per non vedere le proprie? P.J. Hogan offre l'unica risposta possibile e credibile dirigendo un film ad immagine e somiglianza della propria esperienza personale. Posto che artisti e scrittori da sempre attingono ad avvenimenti e sensazioni private, con Mental il regista australiano ha deciso che fosse arrivato il momento giusto per mettere in scena la propria vita. Perché per apprezzare lo spirito, l'ironia e la leggerezza dissacrante con cui Hogan si aggira tra le vite allo sbaraglio delle sue giovani protagoniste, non si deve perdere mai di vista il fatto che lui abbia abitato non solamente gli stessi luoghi ma abbia provato in prima persona l'efficacia devastante della sua sceneggiatura.
Così, accantonate le atmosfere patinate che hanno caratterizzato prodotti hollywoodiani come Il matrimonio del mio migliore amico, s'impossessa nuovamente di una voce australiana più grezza che, mitigata con una comicità black, riesce a ricondurlo all'ispirazione de Le nozze di Muriel, per poi superarla. In questo modo, forte della convinzione che solo nella vitalità contagiosa di una risata si possa trovare la forza per esorcizzare il dolore, Hogan sostituisce la colonna sonora degli ABBA con quella più zuccherosa di The Sound of Music per ottenere la completa dissacrazione del concetto stesso di famiglia. Un risultato che persegue costruendo immagini retoriche, per poi spazzarle via con l'irruzione di una Toni Collette meravigliosamente fuori dagli schemi affiancata dal misterioso cacciatore di squali Liev Schreiber. Insieme i due, vestendo un look vissuto in cui le cicatrici esterne sono il riflesso di quelle interiori, fanno il verso al modello del perfetto ribelle on the road costruito in anni di attenta cinematografia. Da questo, come da altri elementi visivi tra cui un cane sessualmente inopportuno e un surfista cantautore, si comprende come la parola d'ordine del film sia esagerazione estetica ma non narrativa. Perché la messa in scena dell'assurdo non scalfisce minimamente l'onestà del racconto. Anzi, tra bambole da competizione e squali impagliati, non si perde mai di vista la partecipazione di Hogan. La si può rintracciare nello sguardo realista e indulgente con cui racconta un mondo di adulti allo sbaraglio ma, ancora di più, quando si concede il piacere di un happy end, offrendo alle sue giovani protagoniste quella rassicurazione che a lui è stata negata.

Movieplayer.it

4.0/5