Recensione Into the Abyss (2011)

Opera dalla schiettezza strabiliante, quello di Werner Herzog non è un pamphlet politico contro la pena di morte, ma l'esempio cristallino di come un tema del genere possa diventare nelle mani giuste una riflessione acuta sull'essere umano, sulle sue contraddizioni.

Dead Man Talking

Nel 2001 una donna viene uccisa nella sua casa residenziale a Conroe, in Texas, da un gruppo di ragazzi che vuole rubarle la Camaro rossa parcheggiata nel garage. Quegli stessi malviventi, amici del figlio più piccolo della donna, uccidono anche il ragazzo ed un altro compagno di scorribande, rei di aver intralciato i loro piani. Di questo efferato triplice omicidio vengono accusati due balordi locali, Michael Perry e Jason Burkett. Se quest'ultimo se la cava con l'ergastolo, il primo non sfugge alla sentenza peggiore: viene condannato alla pena di morte per iniezione letale. Otto giorni prima dell'esecuzione il giovane Perry riceve la visita in carcere del regista Werner Herzog che parte da quel faccia a faccia per consegnare al mondo la sua personale visione di un argomento spinoso come la pena di morte. Il suo messaggio è emblematico ed è legato al profondo rispetto per ogni vita umana su cui nessuno ha il diritto di intervenire. Partendo da questo presupposto chiaro a difesa dell'essere umano, Werner Herzog dirige Into the Abyss, un'opera complessa e senza mezze misure che ha il potere di far riflettere lo spettatore senza però consegnargli uno stantio piatto precotto.

Articolato in sei capitoli, comprensivi di Prologo ed Epilogo, Into the Abyss ha avuto già la premiere internazionale al Toronto Film Festival prima di approdare nella sezione Paesaggio con Figure del Torino Film Festival. Opera dalla schiettezza strabiliante, quello di Herzog non è un pamphlet politico contro la pena di morte, ma l'esempio cristallino di come un tema del genere possa diventare nelle mani giuste una riflessione acuta sull'essere umano, sulle sue contraddizioni. Il cineasta non giudica i buoni e i cattivi ma si mette al fianco di tutti, non rinunciando mai al suo punto di vista, sfidando spesso e volentieri l'intervistato di turno. Giustiziato pochi giorni dopo il colloquio con il regista è chiaramente la figura di Michael Perry a catturare in un primo momento l'attenzione. Poi però la prospettiva cambia e sotto i nostri occhi Herzog mostra altro. I parenti delle vittime, certo, ma anche i familiari e gli amici di coloro che sono stati giudicati i colpevoli del triplice omicidio (Burkett si è sposato in carcere con una donna conosciuta via posta), delineando un quadro nel suo insieme desolante. La bellezza del film, infatti, è la sua struttura polifonica; sebbene tutto ruoti attorno ad un fatto ben specifico, il lavoro di Herzog non si riduce ad una dettagliata spiegazione dell'evento, con testimonianze accurate (agghiaccianti i veri filmalti della polizia scientifica) e interviste, ma riesce a dar voce a tutti i protagonisti, trasformandoli in veri centri propulsori del racconto.
Ognuno ha un suo percorso specifico, anche chi apparentemente non c'entra nulla con il reato commesso da Michael Perry e compagni e questi 'personaggi' collaterali diventano parte di un mosaico architettato in maniera mirabile e ricca dal regista, intervistatore compassionevole ma non complice; disarmante nel modo di porre domande spesso scomode, ironico anche quando si tratta di parlare di un argomento così forte. Le storie collaterali danno profondità al ritratto e contribuiscono a tratteggiare in maniera più che particolareggiata il panorama entro cui si sono mosse tutte le pedine; un mondo in cui, se va bene, padri e figli sono accomunati dagli stessi spaventosi errori ('Tutto questo non sarebbe successo se mio figlio avesse fatto qualcosa di diverso da me' racconta il padre di Burkett, attualmente in carcere per una lunga serie di gravi crimini), le ragazze, come la barista del paese, ignorano volontariamente tutte le brutture che avvengono quotidianamente sotto i loro occhi per non farsi toccare da quella violenza, l'ignoranza è spesso e volentieri una condizione normale in certi strati sociali. Nella carrellata di volti intervistati da Herzog, ognuno meriterebbe un posto d'onore, ma scegliamo quello del corpulento poliziotto addetto all'iniezione letale, scioccato a tal punto dall'enorme numero di condanne eseguite da dimettersi rinunciando alla pensione. 'Non penso che un essere abbia il diritto di decidere della vita di un altro, non mi importa se è per legge. - dice - Cambiare una legge è così facile'. Dopo l'uscita nei cinema americani, il documentario verrà trasmesso sulla tv via cavo Investigation Discovery che ha finanziato il progetto.

Movieplayer.it

4.0/5