Recensione Ken il guerriero - La leggenda di Raoul (2007)

E' il tono improntato al melò, che letteralmente esplode nel finale, il punto di forza di questo lungometraggio, che perpetua il mito di un personaggio che a tutt'oggi non smette di affascinare.

Quando il mito si tinge di melò

Com'è d'uopo durante i mesi estivi, accanto agli horror e alle pellicole d'autore buttate un po' a caso in pasto a un pubblico in gran parte distratto, nelle sale italiane fa capolino qualche curioso "recupero" di film vecchi di qualche anno, ma finora trascurati dalla distribuzione italiana. E' il caso di questo Ken il Guerriero - La leggenda di Raoul, datato 2007 e terzo di una serie di cinque lungometraggi (il primo, La leggenda di Hokuto, aveva anch'esso trovato una distribuzione nelle nostre sale) dedicati a un mito dell'animazione giapponese, una vera e propria icona pop che ha segnato l'immaginario di varie generazioni e il cui fascino a tutt'oggi non accenna ad esaurirsi. D'altronde, se dopo una lunghissima serie a fumetti, due serie televisive, una di OAV e un (risibile) film live action di produzione americana, il personaggio di Kenshiro continua ad essere linfa vitale per produzioni mediali di vario genere (dal cinema alla tv fino ai videogiochi) questo è indubbiamente segno di una inusuale capacità di attrattiva del personaggio, in grado di superare le barriere generazionali e di entrare stabilmente nell'immaginario di chiunque sia stato bambino (o adolescente) dagli anni '80 in poi.

La nuova serie di lungometraggi di cui questo film fa parte si propone di narrare di nuovo gli eventi visti nelle due serie televisive storiche, sintetizzandoli e adottando, per ogni episodio, il punto di vista di uno dei personaggi. In questo caso, è la figura di Raoul (o Raoh per i puristi) ad essere al centro della narrazione, che muove dagli ultimi episodi della prima serie televisiva e ci mostra l'ambizione smisurata del fratello maggiore del protagonista, spietato dittatore ma anche figura complessa, oscura, segnata da un'inquietudine che verrà lentamente svelata nel corso della storia. Il film, dovendo ovviamente sintetizzare in novanta minuti una storia complessa, ricca di personaggi e piuttosto articolata, sceglie di dare alcune conoscenze per scontate, introducendo i due personaggi principali solo con un brevissimo prologo ed entrando da subito nel vivo dell'azione. Il risultato è, prevedibilmente, una scarsa fruibilità del film per i "profani" dell'universo di Ken, ma una buona capacità di focalizzare il centro tematico della storia: l'opposizione tragica, quasi shakespeariana, tra i due protagonisti, fratelli separati dalla nascita ma personalità quanto mai complementari.

E' proprio il tono improntato al melò del racconto, sottinteso per gran parte della sua durata ma prepotentemente in primo piano nei minuti finali, il punto di forza principale di questo lungometraggio. Il tema, vecchio quanto il mondo, dell'opposizione tra due fratelli di sangue, pervade come motivo portante l'intera narrazione, pronto a esplodere in un finale che mantiene le promesse di epicità e coinvolgimento emotivo implicite nella storia. Un nuovo sguardo su eventi che per l'appassionato sono già noti, in cui i temi dell'onore, del rispetto e del perseguimento della giustizia restano sempre in primo piano, ma in cui c'è un'enfasi nuova sulla dimensione più propriamente emozionale dello scontro finale, con suggestioni che rimandano al cinema di Akira Kurosawa e in genere a tutto il chambara classico. Una capacità di coinvolgere che va sicuramente ascritta a merito del film, insieme a un livello tecnico generalmente molto buono, con un character design fedele alle due serie storiche e un'animazione ovviamente aggiornata ai tempi. Qualche eccessiva "intrusione" del digitale (specie nel finale) non disturba più di tanto, e comunque siamo sicuri che l'appassionato non se ne farà distrarre: le corde giuste sono già state, sapientemente, toccate. E il pensiero è che ora più che mai, a quanto pare, è tempo d'eroi.

Movieplayer.it

3.0/5