Pierfrancesco Favino è il sindacalista Di Vittorio

E' stata presentata a Roma la fiction Rai sul sindacalista Giuseppe Di Vittorio, in onda il 15 e 16 Marzo su RaiUno.

E' il padre del sindacalismo italiano ad essere protagonista del film in due parti Pane e libertà, che andrà in onda in prima serata su Rai Uno domenica 15 e lunedì 16 marzo. La vita di Giuseppe Di Vittorio, chiamato affettuosamente Peppino dal regista Alberto Negrin, a dimostrazione della passione con cui tutto il cast ha cercato di riprodurre su schermo l'epica storia del "cafone" pugliese, è descritta nei suoi aspetti epici, quelli che ne hanno fatto un vero e proprio oggetto di culto per la gente del paese natale, Cerignola, ma anche in quelli più privati, nei quali emergeva la sua delicatezza e timidezza di uomo.
A prestare il volto a questo grande personaggio della storia italiana è Pierfrancesco Favino, ormai oggetto di stima all'estero quanto in patria, che ha saputo dare un'interpretazione intensa e quantomai fedele, anche a detta di Baldina Di Vittorio, figlia del sindacalista, della personalità forte e volitiva del protagonista. Una personalità che gli impedirà di farsi irretire dalle logiche del partito in cui deciderà di entrare a far parte, quello comunista, nell'illusione che questo potesse garantire maggiore forza alla propria lotta, cominciata in tenerà età con lo scontro tra il Peppino bambino e il padrone, per vedersi riconosciuti i diritti inalienabili dell'essere umano, quel pane e quella libertà che danno il titolo al film.
La morte del padre rappresenterà per il piccolo Giuseppe il momento della svolta, quello in cui è costretto a lasciare la scuola e i giochi infantili per sperimentare la durezza del lavoro dei campi e, parallelamente, per non arrendersi all'ignoranza e quindi decidere di farsi una cultura da autodidatta, espressione della consapevolezza che Di Vittorio ha sempre avuto sull'importanza delle parole. Giuseppe si dovrà poi confrontare con la violenza e la dittatura fasciste, e dopo la Seconda Guerra Mondiale porrà tutte le sue forze nella lotta per l'unità di tutti i lavoratori, fossero i braccianti del sud o gli operai del nord. Per descrivere una così ampia parabola Negri ha utilizzato la formula del racconto epico, nel quale a discapito di una narrazione naturalista viene dato un forte spazio alla forza delle idee, che rimane trasversale ad ogni epoca e momento storico. La vicenda di Di Vittorio assume quindi un valore assoluto tanto più nella società contemporanea, dove i diritti dei lavoratori sono si figli delle sue lotte, ma parimenti troppo spesso ancora poco difesi.

Al produttore Carlo Degli Espositi chiediamo il suo punto di vista sulla figura di Di Vittorio.

Carlo Degli Espositi: Questa è la storia di un uomo non sempre adeguatamente ricordato, che con la sua radicalità di giudizio e la sua fede nell'unità di classe ha prodotto risultati straordinari, tanto è vero che questo film l'hanno capito ugualmente Gianfranco Fini e Nichi Vendola. Diceva Di Vittorio che le persone di destra e quelle di sinistra hanno lo stesso sudore. La sua è una storia epica e moderna, e noi abbiamo fatto uno sforzo culturale nel cercare di far ragionare il pubblico sul punto fondamentale dell'unità dei lavoratori. Racconto un aneddoto: fare miniserie in Italia è quasi uno sport per ricchi, e io invece ho dovuto cercare in giro delle coproduzioni per questo progetto. Mi sono rivolto ad un amico ungherese, che però era scettico perchè i protagonisti sarebbero stati tutti italiani. Dopo poco mi ha ritelefonato, però, dicendomi di essere andato a parlare con il Ministro della Cultura che gli ha risposto: Di Vittorio? Certo, è un amico del popolo ungherese. Questo per dire che ha veramente fatto una vita di cui vantarsi.

Non è un fatto consueto che una regione sia coinvolta in un progetto cinematografico. Nichi Vendola, quali sono i motivi della partecipazione pugliese?

Nichi Vendola: Questo si inscrive nel nostro progetto di "invenzione della tradizione", che ci faccia trovare gli elementi che ricostruiscono la nostra genialità. Uno di questi è l'aspetto della Puglia come crocevia, contro lo scontro di civiltà, e l'altro è proprio quello di essere terra del lavoro, che ha inventato la dignità stessa del lavoro. Di Vittorio di questo è stato uno straordinario interprete, tanto da diventare oggetto di una religiosità laica. Tutti noi pugliesi siamo cresciuti con i racconti su Di Vittorio, tutte le famiglie povere ricordano la parabola in cui ci viene insegnato a non toglierci il cappello di fronte ai padroni. Quel mondo ora non c'è più, ci sono nuovi braccianti poveri, che molto spesso hanno la pelle scura, e per i quali è difficile rivendicare diritti. Decidere di non togliersi la coppola è un gesto di autonomia intellettuale, non di sfregio come molti pensano: a dimostrare che si è padroni e servi non per volontà del cielo, ma per come sono configurati i rapporti tra le classi. Il problema di oggi è questo: cosa significa per le giovani generazioni non togliersi la coppola? Adesso è persino difficile conoscere il nome del padrone, ma la domanda di libertà non ha smesso di bruciarci dentro.

Negrin, hai definito il tuo lavoro "un film western". Come mai?

Alberto Negrin: A me interessano le persone, le anime. Quella di Di Vittorio era una grande anima, onesta e perbene, abituata a dire sempre quello che pensava, cosa che non è da tutti. L'ho definito un western perchè qui le difficoltà sono assolute e totali, e il nemico è per la vita e per la morte. In un western la morte e la possibilità di perdere tutto sono sempre presenti, e Di Vittorio ha sempre messo in gioco tutto. Voglio dire che questa è stata un'orchestra meravigliosa, ognuno ha dato un grande contributo. Il vestito definitivo lo ha dato poi il massimo della musica nel cinema, Ennio Morricone, che ha avuto la capacità di interpretare il film perfettamente. Lo ha visto in bulgaro, con alcune parti in inglese, ma lo ha capito ugualmente, entrando dentro i sentimenti. Per me dovrebbe far parte del WWF, essere protetto a livello mondiale. Indispensabile è stato poi il contributo di Baldina e Silvia [la figlia e la nipote di Di Vittorio, n.d.r.], insieme a quello della CGIL, ma soprattutto Baldina ci ha dato la chiave di lettura umana.

Baldina, qual è il suo ricordo di Di Vittorio?

Baldina Di Vittorio: In realtà non pensavo che avrei preso la parola oggi, comunque sono grata a tutti, a chi ha pensato il film, a chi l'ha realizzato. Ci sarebbero troppe cose da dire su mio padre, ma voglio sottolineare che la sua storia umana ha le sue radici nella terra, nella fatica che ha dovuto fare per alzare la testa, per capire che l'istruzione e l'apprendimento erano necessari per elevare se stessi, per avere la dignità di persona umana. La cosa fondamentale è la sua origine, insieme ai suoi primi anni. E' stata una costante della sua vita il volersi migliorare sempre, guidato dal valore della cultura. Da questa consapevolezza nasce l'idea che se si vuole vincere bisogna organizzarsi: con le leghe e le camere del lavoro, organizzarsi ed uscire dall'anarchia. Ha sempre ribadito il valore dell'unità, in un modo molto semplice ma che ha permesso questo grande sviluppo nei diritti dei lavoratori. Questo filo conduttore lo troviamo in tutta la sua vita ed è di grandissima attualità: i lavoratori dovevano ritrovarsi in una sola lega e una sola camera del lavoro, per rimanere uniti. Ricordo un episodio: a Parigi mio padre si incontrava spesso con gli antifascisti, e una volta andò a trovarlo Nitti, al quale raccontò la storia dei braccianti che per un giorno decidono di vestirsi come i signori [nel film è Di Vittorio a farlo, n.d.r.]. A Nitti questa storia piacque molto, e la definì una rivoluzione del costume. Di Vittorio ha affrontato molte situazioni drammatiche, si parla di veri e propri momenti epici, ma lui questi momenti li viveva con la massima naturalezza. E' sempre stato se stesso, e la sua popolarità è straordinaria, ovunque.

Maestro Morricone, come ha messo insieme tutti questi diversi aspetti? O quale ha privilegiato?

Ennio Morricone: Nel vedere questo film mi ero molto commosso, cosa che mi capita raramente, e quando mi capita non voglio mai fare le musiche del film, perchè il pericolo è quello di fare del male. Non l'ho detto a Negrin perchè è un amico, e quindi non potevo. Ero commosso perchè io, che non seguivo la politica, ho sempre sentito parlare male di Di Vittorio, invece ho capito che era un idealista, difendeva il popolo con la civiltà. Di Vittorio fu in contrasto con Togliatti, mi ricordo che Togliatti difese l'invasione all'Ungheria e a suo tempo la cosa mi disturbò. Amo molto il film per questo. Le musiche in realtà sono molte più di quelle che si sentono, perchè scrivo sempre più di quanto occorrerà. Comunque ci sono tre filoni: quello epico popolare, il tema d'amore, ma appena appena sillabato, perchè di più avrebbe spinto il film in una direzione sbagliata, e l'ultimo magari l'ascoltatore non lo noterà, ma è nato dalla volontà di simboleggiare la protesta dei lavoratori. E' difficile da capire per via delle molte pause, ma forse ora che l'ho detto qualcuno di attento lo noterà. Forse non sono stato abbastanza bravo, ma io ce l'ho messa tutta. A me comunque il tema epico popolare piace, questo posso dirlo.

Sentiamo Di Vittorio, cioè Pierfrancesco Favino.

Pierfrancesco Favino: Quello che è stato detto finora riguarda anche me, perchè i miei genitori sono pugliesi. Sono contento che sia stata finalmente rappresentata questa cultura meridionale. Io non conoscevo Di Vittorio, ho scoperto la vita di questo grande uomo e anche i legami che ha creato: ci sono questi simboli che rimangono nella tradizione, come il cappello, l'attesa di un bene superiore, la volontà di rompere questi schemi. Io sono entusiasta di aver fatto questo film, è esemplare raccontare l'onestà di una persona, oggi e domani. Non si tratta di un film nostalgico, non mi è capitato di pensare qualcosa come "ci fosse qualcuno così oggi", ma "oggi ho fatto il mio dovere?". Sono d'accordo poi nel dire che gli operai adesso hanno un altro colore. Questo film parla ai giovani, che adesso hanno problemi diversi: quello di dover rimanere a casa pur avendo studiato, ad esempio.

Come mai il film è stato fatto vedere in anteprima a La Repubblica e al Corriere della Sera?

Pierfrancesco Favino: Mi prendo io la responsabilità di questo. Da quattro mesi ci chiedevamo se utilizzare la possibilità di fare un'intervista con un giornalista politico come Cazzullo. Tanti aspetti di quell'intervista riguardavano me, ma poi si è finito inevitabilmente per parlare del film. Questa cosa è nata in un'occasione particolare, adesso sono stato bacchettato perchè non si fa, ma io non lo sapevo.

Baldina, che cosa ha trovato in Favino che le ricorda suo padre e cosa, invece, le sarebbe piaciuto vedere?

Baldina Di Vittorio: E' una parte molto difficile quella di mio padre. In passato molti hanno pensato di fare un film su di lui, ma per un ragione o l'altra la cosa è caduta. La vita di mio padre è talmente piena che il mio terrore era quello di vederla trasformata in retorica. Favino invece è stato straordinario. Soprattutto nei gesti, nel modo di muoversi. Ha reso molto bene l'intensità di Di Vittorio. Noi siamo felici e grate di questo risultato, è venuta una cosa bella e commovente, che colpirà le giovani generazioni, e farà capire una parte della storia del nostro paese. Io sono sicura che ci sarà un futuro, il film continuerà, perchè già adesso molti giovani ci chiamano, vogliono sapere e capire.

Pierfrancesco, qual è stata la scena che ti ha toccato di più emotivamente? Il sacerdote amico del barone nel film rappresenta tutta la Chiesa o è un caso isolato?

Pierfrancesco Favino: Ci fu un sacerdote, don Gallo, che scrisse a Di Vittorio quando era parlamentare per chiedergli di cambiare una legge. Questo è emblematico della sua trasversalità. Per me non c'è una sola scena, è tutta la vita di quest'uomo che è esemplare. La forza emotiva del lavoro la sento, vedere le persone che lottano per i propri diritti muove qualcosa di profondo in noi.

Carlo Degli Espositi: Ci ha colpito il fatto che i lavoratori fossero disperati al punto di avere un santino di Di Vittorio, che per loro quindi rappresentava ben più del prete, perchè dava loro la speranza. Questo racconta l'importanza che per la massa dei lavoratori ha avuto il suo impegno.

Si potrebbe definire il film come un "melodramma sociale". Tra le musiche, le suggestioni di Pellizza Da Volpedo, ed il set alla Visconti, crea molta commozione. Ma questo linguaggio è in grado di colpire anche i giovani? Cosa succede oggi in questo paese in cui l'istruzione da ricatto è diventata un fardello?

Alberto Negrin: Ci si commuove con l'identificazione, e lì c'è l'esempio di come un bambino, con la sua forza di volontà, riesce a comprarsi un dizionario: è la dimostrazione di come persino un precario possa diventare presidente degli Stati Uniti. La colpa delle difficoltà dei giovani è anche di chi pensa che qualcosa gli sia dovuto, che qualcuno avrebbe potuto dare una spinta, o semplicemente di chi non ha fatto tutto quello che poteva.
I richiami alla politica di oggi sono fortissimi. Si vuole descrivere un'epica della politica bella in contrasto con quella attuale?

Pierfrancesco Favino: E' vero che il mondo del lavoro è cambiato. Non dipende certo dal sindacato se un laureato deve arrendersi al precariato. Nel film non c'è epica della politica, ma un'epica delle idee. D'altra parte, se io vedo un film di Volontè, non lo vedo come una critica a me stesso, ma come una spinta a cercare di fare come lui, anche se magari non ne sono capace.