Recensione Jersey Girl (2004)

Jersey Girl potrebbe deludere i fans di Kevin Smith, abituati ad opere molto diverse, ma rimane comunque un'intelligente commedia che rappresenta tutt'altro che un passo indietro nella carriera del cineasta.

Papà, ho trovato un amico

Pluriosannato regista di pellicole quali Clerks - Commessi (1994) e Dogma (1999), caratterizzate, tra l'altro, dalla presenza fissa del suo alter ego Silent Bob, immancabilmente affiancato dall'inseparabile Jay, Kevin Smith torna alla ribalta con Jersey Girl, storia di Ollie Trinkie, rampante publicist discografico di New York che, in seguito alla morte della moglie Gertrud, avvenuta dopo il parto, si ritrova da solo ad accudire la figlia, la quale porta lo stesso nome della madre, e decide quindi di tornare a vivere in un sobborgo del New Jersey, nella casa paterna, dove farà conoscenza con Maya, dolce ed esuberante ragazza che provvederà a rendere nuovamente movimentata la sua monotona vita da vedovo.

I primi minuti dell'ultima fatica di Smith, come di consueto, sono infarciti di quell'ironia volgare e goliardica (con tanto di dettagli abbondantemente mostrati), tipica dei fumetti underground e di tutto il trash cinematografico, a cui il regista ci ha abituati, elemento che spesso ha contribuito a dividere pubblico e critica nei suoi confronti. Con gran sorpresa, invece, fin dalla triste sequenza della morte di Gertrud, testimonianza che l'autore sia molto abile nell'affrontare anche situazioni drammatiche, Jersey Girl, interpretato da "mister inespressività" Ben Affleck, Jennifer Lopez, Liv Tyler e la piccola e brava Raquel Castro, effettua un improvviso cambio di rotta, non soltanto tale per quanto riguarda il film in sé, ma anche per tutta la carriera artistica di Smith. Per la prima volta, infatti, all'interno della cinematografia smithiana, non sono presenti Jay & Silent Bob, ed il regista preferisce concentrarsi, forse influenzato dalla morte del papà, avvenuta lo scorso anno, su di una vicenda sentimentale che ruota attorno al difficile tema dei legami tra genitori e figli, inscenando, oltre al rapporto tra la piccola Gertie ed il padre, quello deliziosamente burrascoso tra quest'ultimo ed il suo.

Ollie si ritrova quindi ad intraprendere inaspettatamente ed imbranatamente una frenetica vita sospesa tra lavoro e doveri familiari, ma le risate sono comunque all'ordine del giorno, soprattutto nell'esilarante sequenza della conferenza stampa, in cui viene sbeffeggiato l'attore di colore Will Smith, che nel film compare anche nella parte di sé stesso, però a farla da padrone sono questa volta i sentimenti, che il regista di In cerca di Amy (1997) ci ha già dimostrato di saper gestire alla grande, attraverso la sua venatura dissacratoria che scava a fondo nell'intimità, in maniera realistica, senza ipocrisie e falsi pudori. A tal proposito citiamo il dialogo aperto tra Ollie e la piccola bambina, che si confrontano perfino sugli argomenti più impensati e delicati, e l'immagine di Maya che piange all'interno della sala hard della videoteca, la quale pone intelligentemente in contrasto la freddezza del sesso esplicito su celluloide con il dolore scaturito dalle conseguenze dell'amore.

A quanto pare, però, tutto questo sentimentalismo, il quale, tra l'altro, ci comunica che chiunque nutre per i propri figli un certo attaccamento paterno, compresi i personaggi del "gelido" mondo dello spettacolo, viene identificato da molti come scontata retorica o, peggio ancora, come un tentativo patetico di Smith di allinearsi ai classici schemi della tipica commedia politically correct a stelle e strisce. Ma è mai possibile che tutti, nel visionare i lavori precedenti del regista, si siano fermati all'evidenza della trasgressione verbale e visiva, senza scovare i messaggi positivi nascosti? Forse c'è ancora qualcuno che crede che Dogma sia un film contro Dio?

Jersey Girl, che si avvale anche della presenza di Jason Lee, Matt Damon e Jason Biggs, potrebbe rischiare di deludere i fans di Kevin Smith, abituati ad opere più dure e meno "dolci", ma rimane comunque un'intelligente commedia che, a parere del sottoscritto, rappresenta tutt'altro che un passo indietro nella carriera del cineasta.