Normale, la recensione: visioni adolescenziali

La recensione di Normale, racconto di formazione di una quindicenne dalla fervida immaginazione tra realismo e visioni allucinate.

Normale, la recensione: visioni adolescenziali

"Questa è una storia di disperazione, malessere, vergogna, sesso e umiliazione", avverte la voce narrante della giovane protagonista, Lucie, leggendo dal diario che scrive quotidianamente poco prima che la favola dai toni realisti di Olivier Babinet si dispieghi nel suo psichedelico e insolito valzer tra teen movie, zombie, fantasy e bulbi oculari che rotolano lontano dai rispettivi proprietari. Da quel momento, come leggerete nella recensione di Normale, la narrazione seguirà le turbolenze di un mondo adolescenziale sospeso nel tempo, attraversando e confondendo i generi, e seguendo l'andamento di una struttura circolare.

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Normale: Justine Lacroix in una foto

Spazio al racconto di formazione da un lato e al dramma familiare dall'altro, in un'opera a mezz'aria tra l'oggi e l'adolescenza degli anni '80, quella del regista, che si adagia perfettamente sull'adattamento della pièce teatrale da cui il film è liberamente tratto, The Monster in the Hall di David Greig. Vincitore nella sezione Generator +16 al recente Giffoni Film Festival arriva in sala dal 12 ottobre.

Una storia di formazione

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Normale: Justine Lacroix con Benoît Poelvoorde in una scena del film

A dispetto del titolo, Normale, i personaggi che si aggirano nell'immaginario suburbano di questa storia, di "normale" hanno ben poco. La protagonista, Lucie, è una quindicenne che vive da sola con il padre William affetto da sclerosi a placche; da quando la madre li ha lasciati, è l'unica a doversene prendere cura. Divisa tra la scuola e la panetteria dove lavora part time per sbarcare il lunario, e schiacciata dalle incombenze di una gestione familiare non semplice, si affida spesso ai voli pindarici della sua fervida immaginazione, in un immaginario heroic fantasy che spazia tra visioni horror, bulbi oculari che schizzano via dalle orbite e zombi. Perché "Lucie non è come la gente normale, ogni neurone del suo cervello è come uno sciame di moscerini", come dirà la sua voce fuori campo leggendo quanto scritto in un romanzo autobiografico di fantasia, suo naturale rifugio da una realtà livida e monotona su cui incombe l'imminente visita di un assistente sociale che potrebbe concludersi con l'affidamento di Lucie a una casa famiglia. E come non bastasse si affacciano i primi tumulti dell'adolescenza, provocati dall'innamoramento per il compagno di classe Etienne bullizzato dagli altri ragazzi che lo credono gay. Nel frattempo nel tentativo di dare l'illusione di condurre una vita all'apparenza normale per non finire in una casa famiglia, padre e figlia dovranno fare appello ad ogni loro inventiva.

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Tra realismo e visioni surreali

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Normale: Justine Lacroix, Benoît Poelvoorde in una scena del film

Olivier Babinet adatta l'opera scritta da David Greig spostando il campo d'azione dalla Scozia alla provincia francese di Chelles, in un ambiente suburbano scandito dai piloni della luce che si stagliano all'orizzonte, dalle allucinazioni della protagonista e dai neon di un autolavaggio nella notte. Un microcosmo plumbeo in cui la quotidianità e la dimensione più futurista si intrecciano per raccontare i tormenti di un'adolescenza sospesa tra contemporaneità e passato e costretta a crescere in fretta; un terreno che il regista conosce bene, almeno da quando ha iniziato a lavorare fianco a fianco a un gruppo di ragazzi della scuola di Aulnay-sous-Bois nella banlieue parigina, facendone nel 2016 un documentario, Swagger.

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Normale: Justine Lacroix e Benoît Poelvoorde in un'immagine

L'attenzione è ancora una volta concentrata su uno spaccato giovanile che qui colpisce spesso per ingenuità e purezza: dai surreali e fantasmagorici sogni di Lucie ad una improbabile fuga in moto nella notte con Etienne vestito con un paio di ali d'angelo. Sull'altro fronte la miseria della malattia che avanza e l'imperterrita lotta della protagonista per far quadrare i conti in casa alle prese con un padre che al contrario fatica a fare lo stesso con lei. Nella sua bizzarra e adolescenziale visione del mondo - passa il tempo a ingurgitare schifezze davanti ai videogiochi e si nutre di vecchi film horror che ama guardare in compagnia di Lucie - William è un outsider, e nello stesso tempo personaggio di straordinaria dolenza e malinconia. Ex motociclista, non ha mai superato la morte della moglie, vive nel suo ricordo ed è prossimo alla cecità. Lo interpreta Benoît Poelvoorde che insieme alla giovanissima rivelazione Justine Lacroix, dimostrano una perfetta alchimia. Nessun melodrammone, ma l'umorismo della vita e l'inequivocabile desiderio di sognare un mondo diverso, magari con un paio di cuffie in testa e le voce di Ryan Paris che canta Dolce vita.

Conclusioni

Come detto finora nella recensione di Normale, Olivier Babinet firma un delicato racconto di formazione adattando molto liberamente la piece teatrale The Monster in the Hall di David Greig. Colpisce la capacità di attraversare generi e registri in uno psichedelico valzer tra teen movie, zombie, fantasy e realismo sociale. Spazio ai tumulti adolescenziali da un lato e al dramma familiare dall’altro, senza mai scadere nella retorica.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
3.0/5

Perché ci piace

  • L’alchimia tra gli interpreti: Benoît Poelvoorde e Justine Lacroix nei rispettivi ruoli di padre e figlia funzionano alla perfezione.
  • La confusione di generi.
  • La combinazione perfetta di realismo sociale e onirico.

Cosa non va

  • La pretesa di indagare troppi temi.