Recensione In the Name of the King (2007)

Il regista tedesco conferma con 'In the Name of the King' la sua tendenza a lavorare su adattamenti dal mondo dei videogiochi, come già successo di frequente nella sua carriera, per esempio con Alone in the Dark e Bloodrayne.

Nel nome di Uwe Boll

Proprio questo mese Uwe Boll ha ricevuto il Razzie per la sua discutibile carriera ed è indicativo che la motivazione sia stata "la risposta tedesca ad Ed Wood". Se è vero, infatti, che il curriculum del regista comprende film costantemente attaccati da critica e pubblico, quali Alone in the Dark e Bloodrayne, è pur vero che il suo lavoro viene sempre accolto e fruito con un fascino perverso ed una morbosa curiosità. Una fascinazione che sembra coinvolgere anche il mondo degli addetti ai lavori e per averne conferma basta dare un'occhiata al cast di In the Name of the King, suo ultimo lavoro, per notare nomi quali Jason Statham, Ron Perlman, John Rhys-Davies, Claire Forlani, Ray Liotta, Burt Raynolds; tutti attori che di ricoprire un ruolo più o meno di rilievo in un film del peggior regista al mondo non ne avrebbero sicuramente la necessità. La curiosità per il suo lavoro, d'altra parte, coinvolge anche i produttori che gli hanno affidato un budget di tutto rispetto, 60 milioni di dollari, il più alto che abbia mai dovuto gestire, per portare sul grande schermo il film tratto da Dungeon Siege, confermando la sua tendenza a lavorare su adattamenti dal mondo dei videogiochi, come già successo di frequente nella sua carriera, per esempio con i già citati Alone in the Dark e Bloodrayne, Postal o Far Cry.

La storia prende le mosse da un uomo di nome Farmer (Statham), la cui fattoria subisce l'attacco di orribili creature chiamate Krug. Farmer è così costretto a recarsi al vicino villaggio di Stonebridge insieme all'amico Norrick (Perlman) per chiedere aiuto, ma intanto gli stessi Krug attaccano la moglie ed il figlio in viaggio verso il mercato per vedere i frutti del loro lavoro e finiscono per uccidere il povero bambino e rapire la donna.
Come ogni buon eroe di storie fantasy, Farmer inizia la sua missione per liberare la moglie, aiutato proprio da Norrick e Bastian (Will Sanderson), e si troverà quindi impegnato in una accesa lotta contro i temibili Krug che sono controllati dal mago Gallian (Ray Liotta) che li sta radunando con lo scopo di mettere in piedi un esercito per far cadere il regno di Re Konreid (Burt Reynolds).
La più classica delle storie e delle ambientazioni fantasy, quindi, ideale per costruire un nuovo franchise per il grande schermo in grado di coinvolgere intere famiglie in avventure epiche per i prossimi anni, una storia a cui Boll cerca di dare la stessa magnificenza della trilogia degli Anelli di Peter Jackson, non tenendo presente la differenza di spessore letterario alla base delle due produzioni.
L'errore principale di Boll, infatti, risiede nell'omaggio continuo ai tre film di Jackson: dalle ampie inquadrature aeree sulle terre del regno di Ehb, dove la storia è ambientata, allo stile dei costumi e delle musiche, molti dettagli richiamano quello che è ormai diventato il caposaldo del genere fantasy, ma non ne riescono, nè possono, riprodurre la sontuosità. Questo anche a causa del diverso budget in gioco, perchè anche che si tratta del più alto capitale avuto a disposizione dall'autore tedesco, ed alcune sequenze lo dimostrano evidenziando dettagli tecnici mai visti nei suoi lavori precedenti, è pur sempre vero che ben altre forze economiche erano in gioco nel caso della trilogia di derivazione tolkeniana.
Anche per questo motivo, In the Name of the King avrebbe ottenuto più di un beneficio da una struttura più snella e sintetica, per non disperdere troppo il capitale ottenuto, e di una maggiore ironia nella scrittura, per poter sottolineare ed enfatizzare gli elementi trash tipici del cinema di Boll, ammiccando alla curiosità con cui una fetta di pubblico affezionato continua a guardare ai lavori del regista.

Movieplayer.it

2.0/5