Alex Infascelli su Mi chiamo Francesco Totti: “Parlare con Totti è come parlare con Roma”

Video intervista ad Alex Infascelli, regista del documentario Mi chiamo Francesco Totti, presentato alla Festa del cinema di Roma. In sala il 19, 20 e 21 ottobre.

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Mi chiamo Francesco Totti: un primo piano di Francesco Totti

A tre anni di distanza da Piccoli crimini coniugali, Alex Infascelli torna al cinema con Mi chiamo Francesco Totti. Non un classico documentario: non ci sono interviste nel film, soltanto le immagini della città e video di repertorio, commentati dalla voce del Capitano, Francesco Totti.

"C'è solo un Capitano" riecheggia più volte in Mi chiamo Francesco Totti e non è semplicemente un coro da fanatici: il calciatore, che ha giocato nell'AS Roma per 25 anni, è stato molto più di un semplice atleta che dava calci a un pallone. La sua dedizione alla squadra, la generosità con cui si è concesso ai tifosi, diventando quasi un monumento, lo ha fatto diventare un'icona, una cosa sola con la Roma, ma anche con Roma.

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Mi chiamo Francesco Totti: un'immagine del film

Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, Mi chiamo Francesco Totti arriva in sala per tre giorni, 19, 20 e 21 ottobre, come evento speciale, distribuito da Vision Distribution. L'intuizione geniale è quella di far scegliere proprio a Totti cosa vedere e rivedere, cosa zoomare: come è stato regista in campo, così Alex Infascelli gli ha ceduto la sedia in cabina di regia.

La video intervista ad Alex Infascelli

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Francesco Totti e Roma tra passato e futuro

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Mi chiamo Francesco Totti: una scena con Francesco Totti

Abbiamo incontrato il regista proprio alla Festa del Cinema, dove ci ha confermato che parlare con il Pupone è come guardare negli occhi la Capitale: "Parlare con Roma è come mettersi a sedere con la propria madre una sera e dire: adesso tu mi devi parlare di quello che non mi hai mai detto per proteggermi. Mi devi dire chi sono io, da dove vengo io prima di me. Mi devi dire come sarà il mio futuro secondo te. Questo è quello che io e Francesco facciamo insieme. Perché se Francesco è Roma e io mi siedo davanti a Roma parlando con lui è anche vero che io e Francesco ci mettiamo seduti vicini e chiediamo ai romani, e non solo a loro, a chi ci guarderà e ascolterà, chi siamo? Dove andiamo? Chi siamo tutti noi? Cosa stiamo facendo qua? Qual è la nostra missione? Lo sappiamo? Qualcuno deve ancora saperlo? Come si fa a scoprire qual è la propria missione? E una volta scoperto, come la proteggiamo questa cosa? Io penso sempre che il cinema sia riuscito quando fa delle domande, non quando dà delle risposte. E Francesco mi dà la possibilità di poter portare a casa un grande interrogativo: pensare al futuro. Questo è un film tutto all'indietro, ma perché è una rincorsa per il futuro. Alla fine del documentario siamo nel qui e ora. E secondo me nel qui e ora preciso dobbiamo abituarci ad allenare l'occhio, come farebbe Francesco, a guardare lontano. Anche se tutti vorrebbero che guardassimo i nostri piedi."

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Francesco Totti e la differenza tra sapere e sentire

In Mi chiamo Francesco Totti si vede come il calciatore abbia sempre avuto le idee chiarissime su tutto: a 12 anni già andava a letto presto il sabato sera perché il giorno dopo doveva giocare. Quando fece il provino sia per la Roma che per la Lazio sapeva che sarebbe finito nella prima, perché era la fede calcistica della sua famiglia. Quando ha visto per la prima volta Ilary Blasi in tv sapeva che l'avrebbe sposata. Com'è parlare con qualcuno che in tutta la sua vita è sempre stato sicuro di tutto?

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Mi chiamo Francesco Totti: Francesco Totti in una scena del film

Alex Infascelli: "Un conto è sapere, un conto è sentire. Quello che Francesco ha vissuto non è un sapere, è un sentire ed è la cosa che l'ha salvato secondo me. Perché il sapere è infingardo, il sapere ti fotte. Il sentire è sempre nel qui e ora, il sapere è una roba che può essere accumulata. Il tuo sapere può essere qualcosa che non ti corrisponde più, perché proviene da un'esperienza passata, di un concetto, di una didattica. E invece il sentire è sempre presente. Sempre contemporaneo al momento in cui avviene. Quindi Francesco per tutta la sua vita ha sentito quello che doveva fare, non ha seguito una nozione. In questo è stato un essere umano originalissimo: il sentire ha fatto sì che si eliminasse come ego, perché, per quanto riguarda il calcio, ha sentito di aver ricevuto un dono e quindi non era il padrone di questo dono, doveva semplicemente assecondare quello che gli veniva detto da Dio, dall'alto, dal destino. Ha avuto la capacità di ascoltare i messaggi invisibili che tutti noi riceviamo ma che molto spesso disattendiamo."

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Solo Francesco Totti poteva raccontare Francesco Totti

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Mi chiamo Francesco Totti: una scena del film

Il film fa la scelta precisa di non far sentire nessun'altra voce che non sia quella di Francesco Totti e nel documentario lui stesso dice di essere molto permaloso. È per questo che non c'è un altro punto di vista? Per il regista: "L'assenza di un altro punto di vista oltre a quello di Francesco è la cosa che ho impostato fin dall'inizio. Questo non poteva essere un documentario a commento, né di osservazione su Francesco Totti. Questo doveva essere un documentario di Francesco Totti, fatto con Francesco Totti. Bisognava dare voce a lui. Penso che ogni interpretazione della vita di un uomo sia ridicola fatta dall'esterno: solo un uomo può giudicare se stesso. Solo una persona può giudicare se stessa. Nello specifico del documentario, inteso come documentario, non poteva essere un film, in cui puoi raccontare, perché è un atto artistico, di immaginazione, in cui il regista si mette centrale e dice questa è la mia versione. Un documentario invece utilizza il reale e il reale non sono io, è Francesco. Io volevo dare a lui voce, volevo che si raccontasse da solo, nel bene e nel male. Gli ho dato un foglio bianco, tema in classe: mi chiamo Francesco Totti."