Il maestro giardiniere, la recensione: i fiori del male nel giardino del presente

La recensione di Il maestro giardiniere, la perfetta conclusione di una trilogia dell'uomo e del suo passato compiuta da Paul Schrader.

Master Gardener
Master Gardener: un'immagine del film

I ricordi del passato sono spesso delle erbacce da sradicare; semi da rimuovere prima che intacchino il giardino del presente, rendendolo arido, secco, poco fertile alle bellezze da coltivare, raccogliere, assaporare del futuro.

Come sottolineeremo in questa recensione di Il maestro giardiniere, il nuovo film di Paul Schrader va a concludere un'ipotetica trilogia dove il passato dei protagonisti non è più terra straniera, ma terreno da livellare, appiattire, eliminando i rimasugli parassitari di errori commessi nell'illusione di un futuro florido. Cambia la professione, ma l'essenza del protagonista de Il maestro giardiniere rimane analoga a quella dei suoi precedenti in First Reformed e Il collezionista di carte. Sono uomini in bilico tra l'incubo di ieri e il sogno del domani, bloccati in un limbo che solo l'incontro con le proprie controparti giovanili, portatori di sogni e speranze, permettono loro di sbloccare e scendere a patti con se stessi, così da accettarsi, rinascere, ma soprattutto perdonarsi.

IL MAESTRO GIARDINIERE: LA TRAMA

Narvel Roth è il meticoloso orticoltore di Gracewood Gardens. La devozione per i terreni della bella e storica dimora è pari al tentativo di compiacere la sua datrice di lavoro, la ricca vedova Mrs. Norma Haverhill. Quando la donna gli chiede di assumere la sua capricciosa e inquieta pronipote Maya come apprendista, il caos entra nella spartana esistenza di Narvel.

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IL MAESTRO GIARDINIERE E IL CANOVACCIO DI SCHRADER

Master Gardener Joel Edgerton Sigourney Weaver
Master Gardener: Joel Edgerton e Sigourney Weaver in una scena

È un canovaccio di esistenze ben delineate, ma pronte a mutare sulla forza degli ambienti in cui vengono situate, quello redatto da Paul Schrader. Un punto di partenza che prende vita, per diramarsi in innumerevoli versioni, dalla forza esercitata da una sceneggiatura come quella di Taxi Driver. Travis Brickle, animale notturno, uomo fragile e frantumato dai colpi inflittigli dal proprio passato, si fa pertanto padre putativo e insieme calco esistenziale dei personaggi interpretati da Ethan Hawke (First Reformed), Oscar Isaac (Il collezionista di carte), e adesso al Narvel Roth di Joel Edgerton. Cambia la professione, l'ambiente che li circonda, ma i tre sono legati da un filo rosso che li unisce e li collega. Analogie psicologiche, errori di gioventù, ricerche costanti di una rivalsa personale nell'ordinarietà di vite umili e silenziose: sono questi i nutrienti vitali che passano da un medesimo cordone ombelicale per creare una triade umana, nata e cresciuta con la forza della scrittura, e ora resa reale dalla regia di Schrader.

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Il maestro giardiniere di Joel Edgerton vive come i suoi fratelli cinematografici tra le mura di una stanza minimale; conduce un'esistenza senza fronzoli, lontano dai guai. Gli appunti del suo lavoro diventano per l'uomo linguaggio in codice di parole mai dette, ricordi mai superati, pensieri e atti indicibili; un gioco alla sostituzione compiuto attraverso la descrizione enciclopedica di fiori e piante, sulla scorta del terrore ancestrale che solo traducendoli in inchiostro, i fantasmi del proprio passato possano far ritorno, investendolo di nuovo, abbattendolo per terra. Basta poi un incontro improvviso con la ventenne Maya, che l'uomo si ritrova rigettato tra le profondità dei ricordi, per affrontare il suo passato ed elevarsi a vendicatore e salvatore altrui, e di se stesso. Portatrice di segreti, e custode di capricci e infanzie sofferte, quello di Maya è un nome parlante: in esso vive il rimando mitico a quel velo che tutto disvela e mostra, ponendo adesso Narvel su un cammino tracciato dalle colpe del passato, intarsiato di colore, lo stesso che fa brillare le sue amate piante.

LUCI E OMBRE DI UN FIORE TRANCIATO

Master Gardener Backstage
Master Gardener: Sigourney Weaver, Paul Schrader, Joel Edgerton, Quintessa Swindell sul set

È un viaggio dell'anti-eroe tracciato sulla sua stessa pelle quello a cui il protagonista di Il maestro giardiniere è chiamato a intraprendere. Dietro l'umiltà del proprio lavoro si nascondono falle di un passato da dimenticare, gap emotivi i cui lasciti sono adesso impressi non solo nella mente, quanto soprattutto sul corpo. I tatuaggi che decorano schiena e petto sono lividi di inchiostro, tappe fondamentali di una mappa fisica e interiore, dove ogni segno non è più errore da rimuovere, ma colpa da espiare. Le svastiche, i simboli di matrice razzista, le frasi che coprono il corpo dell'uomo, e che Schrader non ha paura di immortalare con fare indugiante, da simboli di un odio verso una diversità da estirpare, si elevano adesso a monito morale, spinte interiori verso il cambiamento. Ma nessun segno sarebbe dotato di senso senza qualcuno che lo sappia leggere, e Maya diventa nell'ottica del film la perfette lettrice di un processo evolutivo solo messo in pausa da Narvel. In un mondo in ombra, relegato al buio dell'anima, l'arrivo della ragazza si tramuta per l'uomo in bagliori di luce che lo colgono a tratti, attirandolo verso un futuro più acceso. Una dualità costante, quella tra luce e ombra, passato e presente, incertezza e attesa, perfettamente ricreata dal direttore della fotografia Alexander Dynan, che fa dei personaggi statue colte in un museo a serrande chiuse, in un'ombra cinerea, immergendole nella potenza della luce solo a metà, o a piccoli tratti, restituendo una complessità d'anima tutta da ammirare, cogliere e far propria.

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IL REGISTA GIARDINIERE

Master Gardener Director Paul Schrader Credits Franck Ferville
Master Gardener: Paul Schrader in un'immagine

Fissa, glaciale, frontale: la macchina da presa di Paul Schrader è uno sguardo impassibile, un occhio non più limitato a spiare, ma ora libero di osservare, seguire, annotare punto dopo punto, la caduta e il processo di rivalsa compiuto dal suo protagonista. Limitata a pochi movimenti, perlopiù nelle vesti di carrellate e panoramiche, la sua cinepresa è una voce silenziosa, un evidenziatore che sottolinea con la forza della propria lente gli umori che si vivono, i pensieri che si tacciano. Grazie a un sapiente gioco di montaggio, Schrader esplicita i passaggi fondamentali del processo di redenzione, e di relazione interpersonale, intrapresi dai suoi personaggi. E così, la nascita, il blocco, e la ripresa del rapporto tra Narvel e Maya, più che a parole, trova il proprio sostegno sia nella forza di inquadrature così ampie da unire i due, sia nelle riprese abbastanza ristrette da impedire a entrambi di condividere la medesima cornice cinematografica, allontanandoli sia mentalmente, che fisicamente.

Il sonno della ragione genera non più mostri ma fiori colorati, e "malerbe da estirpare" in un giardino della vita da curare, annaffiare, amare, difendere dall'attacco delle intemperie sospinte da urla provenienti da un passato lontano, e da piogge di sangue pronte a rivestire di colpe e vendetta corpi inermi. Il tutto investito di aliti di ottimismo in una serra della vita posizionata alle pendici di una mente oscura pronta a essere illuminata per germogliare e rinascere, come fiori tranciati destinati a rifiorire più forti che mai.

Conclusioni

Concludiamo questa recensione di Master Gardener sottolineando come il nuovo film di Paul Schrader, pur riprendendo tematiche e sviluppo delle opere precedenti, riesca a inebriare lo spettatore, portandolo tra le radici dell'incubo, fino al fiorire di una nuova rinascita.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.0/5

Perché ci piace

  • Le performance attoriali.
  • Il rimando alle opere precedenti.
  • La regia di Paul Schrader.
  • La fotografia cinerea.

Cosa non va

  • L'indugiare su certi passaggi poco interessanti ai fini della storia.