Manni, Costanzo e soci coniugano il verbo Amore

Regista, sceneggiatore e cast presentano a Roma la disimpegnata commedia 'Voce del verbo amore'.

Andrea Manni torna alla regia quattro anni dopo il bel debutto con Il fuggiasco. Abbandonati i toni cupi del thriller, il nuovo film del regista romano è una commedia disimpegnata scritta da Maurizio Costanzo, la storia di un amore che finisce, ma che riesce a trovare un modo per riaccendersi. Protagonisti di Voce del verbo amore sono Stefania Rocca e Giorgio Pasotti, mentre in ruoli minori ci sono volti noti come quelli di Simona Marchini, Cecilia Dazzi e Magdalena Grochowska. Alla conferenza romana per la presentazione del film sono presenti Costanzo, il regista ed il cast.

Maurizio Costanzo, com'è stata questa nuova esperienza come soggettista e sceneggiatore di un film?

Maurizio Costanzo: Nella mia carriera ho sceneggiato vari film, ma raramente mi sono trovato a lavorare con persone così per bene come in questo caso. Andrea Manni, il regista, è il prototipo di un vecchio gentiluomo, Giorgio Pasotti è il classico bravo ragazzo col capello appena mosso e tutte le attrici sono persone adorabili. Questa è una storia che si pone come idea di fondo un minimo di consolazione. Un giorno, chiacchierando con degli amici, mi sono chiesto perché dobbiamo far continuare a guadagnare i miliardi agli avvocati matrimonialisti? Siamo certi che le storie finite sono finite per sempre? Forse un residuo d'affetto tra moglie e marito ci può ancora essere anche dopo la fine di una storia. Voce del verbo amore è un film consolatorio, anche per le immagini, perché Manni ha fatto riprese in luoghi romani di rara bellezza. Il nostro è sicuramente un film controtendenza.

In che senso controtendenza?

Maurizio Costanzo: Di solito nei film ci si dice il peggio dal primo all'ultimo fotogramma. Sono contento che la Medusa abbia accolto, invece, questa idea del "riproviamoci". Le coppie sono abituate alla crisi del settimo anno o alle storie che durano da un'estate all'altra. Mi diceva un avvocato che adesso non c'è più nemmeno il tempo di fare il cambio di guardaroba che le persone già si mollano. Forse non c'è più la voglia di soffrire, di provare, di vedere come va a finire. Questo è un film controtendenza perché prova a guardare il bicchiere mezzo pieno. E' sì consolatorio, ma non buonista, cerca di ricostruire, non di distruggere.

A lei è mai successo di riprovarci?

Maurizio Costanzo: In realtà no. Sono stato sposato per ben quattro volte, e adesso sto con la stessa persona da 18 anni, ma forse anch'io potevo pensarci di più prima di fare certe scelte, prima di lasciarmi andare a litigate, all'aggressività e a quella voglia di far male all'altra persona.

Lei ha scritto sceneggiature per vari film. La regia non l'ha mai interessata?

Maurizio Costanzo: Ho fatto il regista una sola volta, nel 1977 con Melodrammore, e credo proprio che non lo farò più. Il regista è un mestiere che richiede la totalità dell'impegno e io ho bisogno di muovermi sempre, di fare tante cose.

Nei film da lei scritti torna quasi sempre il tema dell'amore. Non hai mai pensato di raccontare qualcosa di diverso?

Maurizio Costanzo: Tempo fa ho vissuto per un periodo in un condominio sullo stesso piano di Dario Argento e spesso veniva da me e mi raccontava che lui stesso aveva paura di ciò che scriveva. Io non potrei mai scrivere un thriller. A me sono sempre interessati i rapporti interpersonali uomo-donna e penso che continuerò su questa strada.

Andrea Manni, come mai un titolo come Voce del verbo amore?

Andrea Manni: Abbiamo dibattuto a lungo sul titolo, e in molti non erano d'accordo, ma mi sono impuntato e alla fine l'ho spuntata. Voce del verbo amore è un titolo evidentemente sbagliato, perché il sostantivo non è coniugabile, ma io lo trovavo un gioco di parole perfetto per raccontare le difficoltà dell'amore.

Lei ha girato qualche anno fa un film drammatico molto apprezzato come Il fuggiasco, e ora torna al cinema con una commedia. Perché questo cambio di registro?

Andrea Manni: Credo che la grande bellezza del mestiere che facciamo sia cambiare storie e sentimenti da raccontare. E' stato meno faticoso fare un film drammatico come Il fuggiasco, pieno di inseguimenti e con tanti cambi di location, che combattere con gli attori per questo per trovare la giusta misura. Ho cercato di fare un film generoso e ho chiesto agli attori di non appoggiarsi a cose già fatte prima.

Cosa pensano gli attori dei propri personaggi?

Stefania Rocca: Appartengo a quella generazione che ancora non ha ricominciato, ma mi piaceva l'idea di questi personaggi che decidono di non raccontarsi menzogne, mantenendo una responsabilità verso l'altro sia per gli anni passati insieme che per i figli. Nel film i personaggi aspettano che questo sentimento vada via, ma loro non riescono ad allontanarsi mai. Il difficile però in quei casi è trovare il modo giusto per chiedere all'altro di riprovarci. Per quel che riguarda il mio personaggio, ho chiesto al regista di poterlo fare un po' isterico, andare sul luogo comune e rendere la mia Francesca una nevrotica, la classica donna sposata con figli, mettendoci però una dolcezza e una sensibilità tutta femminile.

Giorgio Pasotti: Sono molto lontano dal mio personaggio. Cerco sempre di interpretare personaggi il più lontani possibile da me, in modo da divertirmi di più. La cosa più piacevole di Ugo è il suo amore totale nei confronti dei figli, un affetto che va al di là di qualsiasi problema. La cosa che mi incuriosiva di più era proprio questo legame che forse si è rafforzato ancora di più dopo la separazione. Mi piaceva l'idea di interpretare un buon padre e ho vissuto il film come una terapia. In questi anni ho fatto film molto intensi e avevo voglia di prendere parte ad una pellicola più leggera. Monicelli un giorno mi ha detto "voi attori siete troppo seri". Ho cercato perciò di divertirmi, con il giusto distacco, senza fare troppe faccette, come mi ha consigliato il signor Costanzo. Volevo spaziare e provare che posso interpretare una vasta gamma di personaggi.

Cecilia Dazzi: Nel film interpreto la single. Ho cercato di dare un po' di effervescenza a questo personaggio che ha la sfortuna di chiamarsi Gioia e che cerca un principe azzurro un po' particolare, poiché decide che questa volta deve essere brutto. Abbiamo avuto la voglia di ribaltare il classico ideale.

Magdalena Grochowska: Il mio personaggio è tutto quello che vorrei essere io, soprattutto in questo periodo che vivo una situazione molto simile alla sua. Nel film interpreto una donna forte, che vuole vivere un rapporto free, senza troppe complicazioni. Ecco io sono tutto il contrario e spesso mi dispiace di non essere così forte.

Simona Marchini: La mamma che interpreto nel film mi assomiglia fino a un certo punto. Di certo abbiamo in comune la tenerezza, la voglia di ammorbidire un po' i problemi, ma non condivido con lei la voglia di confidarsi alla propria figlia perché non mi è mai piaciuto nella vita reale appesantire mia figlia con i miei problemi.

Giorgio Pasotti, perché secondo lei non c'è più la voglia di provare a salvare le storie d'amore?

Giorgio Pasotti: Non si ha più la pazienza di andare avanti, di risolvere i problemi. Ho visto qualche giorno fa un servizio sull'anno 1977 e c'era il pugile Nino Benvenuti che in un'intervista sosteneva, riferendosi alla boxe, che i ragazzi non conoscono più la sofferenza. Credo che questa sia una cosa che possa estendersi anche alla vita in generale. I nostri padri non hanno avuto una vita facile e penso che il mio abbia fatto di tutto per evitarmi le sue stesse sofferenze e forse in un certo senso questo non ci ha giovato.

Stefania Rocca, quali sono i suoi progetti futuri?

Stefania Rocca: Girerò a giugno un film francese intitolato Made in Italy e diretto da Stephane Giusti e nel frattempo sto scrivendo una cosa per il teatro.