Lubo, la recensione: Giorgio Diritti e il genocidio legalizzato degli zingari bianchi in Svizzera

La recensione di Lubo, film di Giorgio Diritti in Concorso alla Mostra di Venezia 2023 e che arriverà nei cinema il 9 novembre.

Lubo, la recensione: Giorgio Diritti e il genocidio legalizzato degli zingari bianchi in Svizzera

La "civilissima" svizzera è teatro della nuova fatica di Giorgio Diritti, Lubo, film dalla durata fiume tratto dal romanzo di Mario Cavatore Il seminatore, presentato in concorso a Venezia 2023. Le migrazioni e l'integrazione tra etnie diverse sono alcuni dei temi caldi presenti in questa edizione della Mostra. Anche Diritti affronta l'argomento a suo modo con un grande affresco storico dominato dalla presenza di Franz Rogowski, uno degli attori più apprezzati della sua generazione. Il tedesco Rogowski ci ha da tempo abituato alla sua versatilità linguistica. In Lubo lo possiamo apprezzare recitare in tedesco, italiano e francese nei panni di Lubo Moser, Jenisch (etnia nomade europea) a cui vengono sottratti i figli.

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Lubo: un'immagine del film

Lubo si guadagna da vivere come artista di strada finché non viene chiamato a combattere nell'esercito svizzero. Mentre presta servizio i gendarmi gli portano via i tre figli e uccidono la moglie secondo il programma di rieducazione nazionale della Kinder der Lanstrasse, organizzazione che ha lo scopo di fare pulizia etnica distruggendo le famiglie nomadi col sostegno del governo. Lubo diserta e, dopo aver assunto una nuova identità, si insinua nel ricco tessuto sociale svizzero intrecciando relazioni con ricche donne sposate per spargere il suo seme.

La storia dimenticata

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Lubo: un momento del film

È significativo che uno dei paesi più democratici, sulla carta, come la Svizzera abbia approvato leggi tanto razziste e spietate, attuando un vero e proprio genocidio etnico. Lubo nasce proprio dall'urgenza di Giorgio Diritti di raccontare questi fatti storici di cui si sa poco o niente. Seppur dotato di un respiro epico, il regista non rinuncia ai tratti caratteristici del suo cinema umanista prendendosi tutto il tempo necessario per concentrarsi sull'approfondimento psicologico del protagonista. Nel far ciò, Diritti privilegia le immagini alle parole, valorizzando al massimo le intense performance degli interpreti, ma anche l'uso delle location.

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Nomadismo cinematografico

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Lubo: un frame del film

Lubo è un film nomade, proprio come il suo protagonista. L'azione si sposta di continuo dalla Svizzera italiana a quella tedesca, dal Canton Grigioni al Canton Ticino, per poi passare la frontiera italiana arrivando sul Lago Maggiore, a Verbania. Il personaggio di Franz Rogowski è un avventuriero pervaso dalla sete di vendetta che, privato della famiglia, non ha più niente da perdere, ma è anche un trasformista, capace di cambiare personalità all'occorrenza mimetizzandosi alla perfezione in classi sociali a cui non appartiene. I paesaggi e gli ambienti rivestono un ruolo essenziale in questo suo percorso.

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Lubo: un frame del film

La sua natura giocosa che si manifesta per le strade svizzere durante le sue esibizioni, o sul carro con la famiglia, scompare al momento della leva militare, quando la sua aggressività da animale ferito emerge trai monti e i boschi notturni, mentre le linde cittadine svizzere ospiteranno il suo alter ego mondano, il mercante di gioielli ebreo a cui ha sottratto l'identità, elegante e di buone maniere. Un vero e proprio tour de force per l'eclettico Rogowski, il cui talento multiforme non è più una sorpresa per nessuno.

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Pudore registico

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Lubo: una scena del film

Nonostante la lunga durata, Lubo non contiene momenti di stanchezza né fasi stagnanti. Le tre ore del film sono giustificatedallo spessore dei fatti narrati e vengono percepite come necessarie per empatizzare col dolore del personaggio, che lo accompagnerà lungo tutto l'arco della sua esistenza. Anche se la centralità del personaggio di Franz Rogowski tende a catalizzare su di sé tutta l'attenzione si apprezzano anche le performance dei comprimari tra cui spicca quella di Valentina Bellè, che rappresenta una nuova opportunità di amare per il protagonista.

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Lubo: Giorgio Dirittti e Franz Rogowski sul set

La cura dei dettagli nella ricostruzione storica e l'attenzione all'immagine fanno da contorno a una regia ben calibrata, dal passo riflessivo, volta principalmente a sviscerare i mille volti di Lubo, a indagarne le reazioni sue e degli altri personaggi, supportata dalle musiche suggestive, ma mai invasive di Marco Biscarini. Con pudore, Giorgio Diritti rinuncia a scene madri e racconta sentimenti soffocati, celati agli occhi del mondo. Questo lavoro di sottrazione, questa attenzione ai dettagli e questo gusto per il quotidiano, arricchiscono la narrazione dando vita a un'opera che sedimenta nel cuore e nella mente dello spettatore.

Conclusioni

Come sottolineato nella recensione di Lubo, Giorgio Diritti si prende tutto il tempo necessario per raccontare uno spaccato di storia dimenticato in cui si concentra sulla vicenda drammatica di Lubo Moser per denunciare il genocidio etnico legalizzato operato dalla Svizzera negli anni '30 contro i popoli nomadi europei.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
4.3/5

Perché ci piace

  • Lo stile registico di Giorgio Diritti sempre coerente con la sua attenzione ai personaggi.
  • Franz Rogowski, sempre più duttile e versatile.
  • La capacità di restituire il dolore dei personaggi attraverso l'uso delle immagini più che delle parole.
  • L'uso delle location.

Cosa non va

  • Il lavoro di sottrazione penalizza il film agli occhi del pubblico più impaziente e desideroso di emozioni forti e immediate.