Recensione Storm (2009)

Ai legal thriller made in USA Storm, co-produzione tedesca, danese e olandese, è certamente debitore per alcune tecniche di caratterizzazione dei personaggi e delle loro dinamiche relazionali, ma soprattutto ne eredita il paradigma narrativo.

Le antiche ferite

Dopo l'ottimo dramma psicologico Requiem, Hans-Christian Schmid voleva dirigere un thriller in stile New Hollywood; ovvero un film che portasse sullo schermo in maniera cinematograficamente coinvolgente e avvincente una tematica sentita e contemporanea. Oltre a questa esigenza del regista, per fare nascere Storm è bastata quindi l'idea di ambientare la vicenda al tribunale per il crimini di guerra de L'Aia, e ispirarsi agli orrori, relativamente recenti e assolutamente laceranti, del conflitto in Bosnia.
Protagonista di Storm è Hannah Maynard, procuratore ambizioso e determinato, che cerca di ottenere una condanna per Goran Duric, ex leader militare considerato un eroe e un modello dai nazionalisti serbi. Quando il suo teste chiave viene clamorosamente smentito, e in seguito a ciò si toglie la vita, la donna non si arrende e cerca una nuova strategia per l'accusa. Scoprirà presto che la testimonianza più compromettente e dolorosa è custodita da Mira, la sorella del testimone, che si è rifatta una vita in Germania e che non ha nessuna intenzione di metterla in pericolo. Ma quando finalmente Hannah riesce a convincere la giovane donna a testimoniare, una serie di restrizioni burocratiche e di compromessi politici minacciano di rimettere il bavaglio alla coraggiosa Mira.

Ai legal thriller made in USA Storm, co-produzione tedesca, danese e olandese, è certamente debitore per alcune tecniche di caratterizzazione dei personaggi e delle loro dinamiche relazionali, ma soprattutto ne eredita il paradigma narrativo, quelle sequenze di elementi srutturali e tematici che non hanno segreti per lo spettatore smaliziato. Questo lo rende forse prevedibile dal punto di vista contenutistico; ciononostante lo stile di regia - sobrio, realistico, espressivo e niente affatto patinato, l'essenzialità e l'asciuttezza nei toni ne fanno un prodotto fresco e del tutto rispondente al progetto di Schmid. A concretizzare le potenzialità di una sceneggiatura "di genere" eppure intelligente ed evidentemente sostenuta da un attento lavoro di ricerca, ci pensano le interpretazioni: è fascinosa e brillante Kerry Fox, chiamata a vestire i panni dell'indomito procuratore, ed è semplicemente magnifica Anamaria Marinca, immenso talento romeno già applaudito in 4 Mesi, 3 Settimane e 2 Giorni, che qui si destreggia tra tre lingue diverse, inglese, tedesco e serbo, e regala a Mira l'umanità e la rabbia che rappresentano il fulcro emotivo dell'intera pellicola.
E' un'artista da tenere d'occhio, Anamaria Marinca, così come lo è Schmid; ma le buone notizie di cui è latore Storm non sono tutte qui: il film lascia infatti trasparire tutte le potenzialità di queste massicce co-produzioni europee che possono permettere ai cineasti di lavorare su scala hollywoodiana senza snaturare la propria visione e senza ricorrere alle facili spettacolarizzazioni. In questa edizione della Berlinale in cui gli Stati Uniti hanno un ruolo davvero prominente, vederemo se la giuria internazionale deciderà di premiare la strada tentata da Schmid.

Movieplayer.it

3.0/5