Stonewall: le origini della “gay liberation” raccontate da Roland Emmerich

Lo specialista dei disaster movie ricostruisce in versione romanzata gli eventi che nel 1969 portarono alle rivolte di Stonewall, a New York, e alla diffusione del movimento per i diritti dei gay, in un tipico racconto di formazione con protagonista l'attore Jeremy Irvine.

La notte fra il 27 e il 28 giugno 1969 ha rappresentato un momento pivotale nella lotta per i diritti degli omosessuali negli Stati Uniti: un "punto di rottura" identificato con la sommossa popolare, da parte di circa duemila gay, lesbiche e transessuali, contro i poliziotti che avevano appena compiuto l'ennesima retata all'interno dello Stonewall Inn, nel Greenwich Village, storico punto di ritrovo per gli omosessuali di New York. La rivolta di Stonewall, i successivi disordini legati all'avvenimento e il conseguente, gigantesco dibattito presso l'opinione pubblica avrebbero portato ad una rinnovata consapevolezza presso la comunità gay americana, nonché all'istituzione della giornata del gay pride il 28 giugno.

Stonewall: Jonny Beauchamp in una scena del film
Stonewall: Jonny Beauchamp in una scena del film

Un evento di indiscutibile rilevanza storica, dunque, a cui erano già stati dedicati diversi documentari e un lungometraggio di finzione (Stonewall del 1995, co-prodotto dalla BBC), prima della produzione del 2015 patrocinata e diretta da un regista ben lontano dal cinema di impegno civile. Il tedesco Roland Emmerich, approdato definitivamente a Hollywood nel 1992, è ben noto infatti come specialista di opere di fantascienza e disaster movie, fra cui campioni d'incassi come Stargate, Independence Day, The Day After Tomorrow - L'alba del giorno dopo e 2012; con Stonewall, invece, Emmerich esce dalla propria comfort zone per cimentarsi con un progetto più personale (gay dichiarato, Emmerich è da sempre in prima linea come attivista per i diritti LGBT).

Ragazzi di vita nel Greenwich Village

Stonewall: Jonny Beauchamp, Otoja Abit, Jeremy Irvine e Caleb Landry Jones in una scena del film
Stonewall: Jonny Beauchamp, Otoja Abit, Jeremy Irvine e Caleb Landry Jones in una scena del film

Massacrato o quasi dalla stampa americana e totalmente ignorato dal pubbico in patria, Stonewall è andato incontro a frequenti critiche legate alla sua scarsa attendibilità storica: per le diverse libertà del copione scritto dal drammaturgo Jon Robin Baitz, ma soprattutto per l'operazione di cosiddetto whitewashing, ovvero per aver posto a capo della rivolta un ragazzo caucasico, Danny Winters, personaggio di finzione con il volto 'pulito' ed estremamente cinegenico del venticinquenne inglese Jeremy Irvine (che esordì nel 2011 sotto la direzione di Steven Spielberg nell'apprezzato War Horse). Ma pur riconoscendo la legittimità di tali contestazioni, è bene considerare che Stonewall, prima ancora di proporsi come dramma storico impegnato (sui modelli, per intenderci, di Milk o di Selma - La strada per la libertà), è in primo luogo e in misura più ampia un tipico racconto di coming of age, costruito attorno alla progressiva presa di coscienza - prima individuale e poi politica - di Danny: la sofferta adolescenza in un paese di provincia dell'Indiana, le prime esperienze omoerotiche con il compagno di scuola Joe Altman (Karl Glusman), gli insulti e le discriminazioni nei suoi confronti e quindi la fuga a New York, per liberarsi dal giogo familiare e frequentare la Columbia University.

Stonewall: Jonny Beauchamp e Jeremy Irvine in una scena del film
Stonewall: Jonny Beauchamp e Jeremy Irvine in una scena del film

Lo sviluppo narrativo, pertanto, segue il percorso canonico dell'outsider appena approdato nella metropoli e per la prima volta alle prese con una 'libertà' che porta con sé anche un doloroso senso di sradicamento e di smarrimento: catapultato nel mondo variopinto, ma pure insidioso del Greenwich Village e in particolare di Christopher Street, quartiere popolare frequentato da senzatetto, giovani marchettari e drag queen, Danny - soprannominato Kansas, in riferimento al personaggio di Dorothy Gale ne Il mago di Oz - si ritroverà a far parte di un microcosmo multietnico e disagiato e a stringere amicizia con lo spiantato portoricano Ray, alias Ramona (Jonny Beauchamp, in un altro ruolo en travesti dopo quello nella serie TV Penny Dreadful), oltre che a sperimentare le difficoltà e il malessere della vita di strada, fra pestaggi commessi dalle forze dell'ordine e notti trascorse sul pavimento di una stanza insieme a un'altra dozzina di persone. Emmerich e lo sceneggiatore Baitz non lesinano gli stereotipi del caso, ma sotto questo aspetto riescono comunque a rendere con una certa efficacia la durezza della parabola esperienziale di Danny e la sensazione di precarietà di un'esistenza condotta ai margini della società.

Fra storia, cinema civile e racconto di formazione

Stonewall: Jonathan Rhys Meyers in un momento del film
Stonewall: Jonathan Rhys Meyers in un momento del film

In sostanza Stonewall nella propria essenza di film di formazione, per quanto eccessivamente paradigmatico nella scrittura e assai prevedibile nelle sue svolte, si dimostra nel complesso una pellicola più che dignitosa; magari troppo legata a certi stilemi hollywoodiani e mai davvero profonda né originale, ma Emmerich del resto non è un Gus Van Sant, e il suo approccio mantiene un taglio didattico volto a parlare ad un pubblico che non sia soltanto quello del cinema d'autore. Ciò detto, non si può non ammettere che Stonewall presenti anche un ampio numero di difetti, specialmente sul versante storico/politico; e non è casuale infatti che le scene più realistiche risultino essere i flashback di Danny nel paese natale in Indiana, mentre l'intero sottotesto sulle diverse 'anime', tendenze e strategie della comunità gay newyorkese è trattato in maniera alquanto superficiale.

Stonewall: Jeremy Irvine in un momento del film
Stonewall: Jeremy Irvine in un momento del film
Stonewall: un'immagine tratta dal nuovo film di Roland Emmerich
Stonewall: un'immagine tratta dal nuovo film di Roland Emmerich

Dal punto di vista ideologico, a proposito cioè di cause e conseguenze della rivolta di Stonewall e del ruolo giocato da polizia e malavita, il film sembra spesso incerto e confuso (il subplot poliziesco sulle losche attività di Ed Murphy, nello specifico, è una maldestra concessione al thriller), mentre la repentina trasformazione di Danny convince davvero poco: la sequenza del celeberrimo "lancio del mattone", ovvero il "calcio d'inizio" della rivolta, non ha il pathos che ci si aspetterebbe semplicemente perché l'attivismo e la furia di Danny, in quel contesto, appaiono del tutto forzati. Il personaggio di Jeremy Irvine, in fondo, costituisce un elemento di focalizzazione fin troppo 'semplice' per il pubblico, con il suo bel viso da bravo ragazzo e il look alla James Dean, ma come già indicato questo aspetto rientra nell'impostazione generale di Emmerich. E pur con tutti i rimproveri che si possono muovere al film, a Stonewall va riconosciuta perlomeno l'intensità di una narrazione costantemente attaccata alle sorti del suo protagonista, e capace nei suoi momenti migliori, ad esempio durante il ritorno in Indiana nel pre-finale, di un trasporto emotivo che induce a perdonare - almeno in parte - le ingenuità dello script. Pur lasciando una punta di rimpianto per la cronaca cinematografica di gran lunga migliore che un evento quale Stonewall avrebbe meritato, e che ancora meriterebbe.

Movieplayer.it

3.0/5