Recensione Hong Kong Express (1994)

Un commovente viaggio all'interno di coscienze derubate, alla ricerca dei veri sentimenti.

La distrutta rassegnazione

Opera del 1994, questo Hong Kong Express è diviso in due episodi: i protagonisti sono due poliziotti (che nel film vengono indicati con i numeri 223 e 663), entrambi reduci dalla fine di un rapporto d'amore, e ancora non rassegnati a continuare la loro vita. E' un film molto delicato, che ci introduce nella vicenda gradatamente, presentandoci prima gli effetti e poi le cause. Girato in poco più di tre mesi, facendo larghissimo uso della camera a mano, con stile più da videoclip musicale che da film classico e un budget ridottissimo, offre diversi spunti interessanti tanto nei contenuti e nel modo con il quale vengono presentati allo spettatore, che nella tecnica. La regia è sicura, vivace nonostante i frequentissimi cambi di scena, o le lunghe inquadrature "sulla tristezza" dei personaggi.
Ci sono tutti gli elementi che saranno riproposti anche in quello che è considerato un po' il seguito di Hong Kong Express, Angeli Perduti; quindi abbiamo la struttura ad episodi, anche se in questo caso c'è un minore intreccio fra le vite di tutti i personaggi, l'attaccamento dei protagonisti per determinati oggetti, che vengono utilizzati come corde per tenersi attaccati a un mondo di cui non ci si sente più di fare parte integrante, e di conseguenza il simbolismo, caratteristica non nuova per chi conosce anche in minima parte il cinema orientale. Nel film in questione viene talvolta esasperato mostrando fenomeni di vera e propria dipendenza da qualcosa di materiale. E' un po' la teoria del trovare rifugio nel tangibile, quando si è perduti nel campo sentimentale e affettivo.
Nella pellicola è inoltre sempre presente quel velo di fatalismo, tipico di molte produzioni simili, che sembra assumere il ruolo di una forza al di sopra di ogni cosa e capace di mettere ordine nelle vite confuse ma vuote degli esseri umani, costringedoli ad accettare i cambiamenti come tappe necessarie.
La trama si snoda in scioltezza, senza annoiare mai ma soprattutto evitando banalità.
Dal punto di vista artistico, molto buone le recitazioni, intimistiche, euforiche ma anche sofferte da parte di tutto il cast.
Anche i brani musicali che accompagnano il tutto sono molto gradevoli e sorprendentemente azzeccati nel modo in cui si "accordano" a ciò che che viene mostrato su schermo.
Per finire, posso dire che questo è l'ennesimo film orientale da consigliare, perché permette di scoprire (per chi ancora non avesse la fortuna di conoscerlo) un regista interessantissimo e innovativo nel suo modo di raccontare le storie, e perché nonostante porti con sè molte componenti della cinematografia orientale, è più vicino all'Occidente per le tematiche che tratta. L'unica differenza sta nel come le tratta.