Recensione Men behind the sun (1988)

Uno dei film "maledetti", ma che nasconde molto di più, dietro al buon numero di violenze che mostra...

La catarsi del disturbante

Spesso si sente parlare di "film disturbanti", che vengono bollati come film di serie B, inutilmente provocatori, che mostrano immagini cruente, violenze gratuite solo per il gusto di cercare lo shock nello spettatore. E' pur vero che togliendo il carattere provocatorio a questo genere di pellicole, spesso si rimane di fronte a prodotti tecnicamente e artisticamente poco validi, che si avvicinano molto all'idea moderna di "trash".
Sicuramente non è il caso del film in esame, che ci propone senza dubbio un campionario di efferatezze impressionante, ma che sono "giustificate" da una narrazione che trova maggior respiro rispetto ad altre produzioni dello stesso tipo, appoggiata da una trama che è più un atto d'accusa verso le atrocità commesse dai giapponesi durante il corso della Seconda Guerra Mondiale. Due storie si svolgono parallelamente e si intersecano: la vita dello squadrone 731 e una pallina che uno dei soldati aveva portato con sè, quando era stato arruolato e per la quale era rimasto ucciso. Attraverso questi espedienti narrativi assistiamo ai vari esperimenti condotti sui "non-giapponesi" alla ricerca dell'arma batteriologica finale, dalle mutilazioni come effetto delle bombe fatte saltare vicino degli uomini legati a delle croci, a camere ad altissima pressione, a un'autopsia (che è stata fatta ovviamente su un bambino già morto e ripresa). E' girato con piglio documentaristico, impersonale, distaccato eppure che tenta di inseguire e mostrare ad ogni costo ogni minimo dettaglio. Si respira infatti un cinismo veramente terrificante, che crea un'atmosfera particolare, di rabbia talvolta, nello spettatore. Nulla è lasciato al caso, oltre a tutti i movimenti di macchina, le inquadrature, anche la fotografia è ben fatta, curata nei vari aspetti. E' caratterizzato infatti per un buon equilibrio narrativo, che vuole sembrare disturbante a tutti i costi, ma nel quale in realtà si denota una forte politicizzazione.
Del resto, il regista Tun Fei Mou ha diretto diversi film, tutti con spiccati connotati di accusa politico-sociale, che trova la sua realizzazione attraverso il mezzo cinematografico diretto, che colpisce e si fa ricordare. La condizione dei prigionieri viene vista come un qualcosa di inevitabile, a cui non si può far fronte.
In questo, sono da segnalare le buone interpretazioni del cast, in particolare degli attori che interpretano gli ufficiali e i medici giapponesi, che rappresentano bene la ferocia sottocutanea e il distacco umano.
Magari vi sarà stato presentato come un film assolutamente da evitare, forse uno dei film più deprecabili della storia del cinema, eppure io mi sento di consigliare la sua visione, nella misura in cui esso non mostra solo delle cose, ma lancia anche dei messaggi fra le immagini cruente, in realtà un gran messaggio di pace, e contemporaneamente una profonda tristezza per quello che è accaduto, e che ormai fa parte di alcune delle pagine più nere della storia mondiale.