Recensione Fortapàsc (2008)

Il regista di Mery per sempre torna al cinema civile erede di Rosi e la sua partecipazione emotiva alla vicenda diventa valore aggiunto che accalora la traduzione su grande schermo di questa storia di speranza dall'epilogo infelice nella nostra Italia da bruciare.

Io voglio fare il giornalista

A Torre Annunziata anche la pioggia si trasforma in fango. Lo sapeva bene Giancarlo Siani, giornalista praticante e abusivo che si addentrava ogni giorno nei suoi vicoli per scovare il male e portarlo alla luce, restituendo alla carta stampata quel suo ruolo di scoperta e rivelazione deputato a scuotere l'opinione pubblica. Ventiquattro anni dopo la sua morte, Marco Risi porta la sua storia al cinema, la rende schiaffo e carezza che passano per la normalità di un ragazzo che si buttava anima e corpo nel proprio lavoro, con un bel po' di incoscienza, per svergognare quella camorra che da sempre si mangia Napoli e dintorni e che decise di condannarlo a morte per la sua fastidiosa curiosità. Fortapàsc rende bene fin dal titolo quello stato d'assedio di una città bagnata da un mare inquinato e stritolata da quei tentacoli neri che ogni mafia possiede. Quello di Risi è un film ruvido, popolare, totalmente rapito dal tempo e dal contesto in cui si aggira il protagonista: c'è l'epidemia dell'eroina che distrugge i giovani, c'è la vergogna di una politica che vive nelle ville con i campi da golf mentre i terremotati sono costretti nei container, c'è la beffa di uno scudetto vinto dal Verona mentre il Napoli continua ad arrancare nonostante l'arrivo di Maradona. Su tutto c'è la malavita che controlla la città e un giovane occhialuto che scrive per Il Mattino e che si fa trovare sempre pronto per narrare le gesta infami dei boss locali, che sia il padrone Valentino Gionta che controlla tutto il territorio e va in giro in carrozza o chi indossa la fascia tricolore e si lascia calpestare solo per favorire i propri interessi.

Il regista di Mery per sempre torna al cinema civile erede di Francesco Rosi e la sua partecipazione emotiva alla vicenda diventa valore aggiunto che accalora la traduzione su grande schermo di questa storia di speranza dall'epilogo infelice nella nostra Italia da bruciare. Risi torna al 1985, piegando a quell'epoca lo stile visivo della pellicola, che mescola insieme la sceneggiata napoletana, i gangster movie delle grandi icone e il più sofferto cinema di denuncia. Nell'affanno di spiegare le complesse trame della camorra e i suoi rapporti con la politica, il film si fa didascalico e perde così genuinità, che ricerca in ogni momento nel suo protagonista. La figura di Siani viene descritta con tenerezza, ma Risi sta attento a non fare di lui un semplice martire: nella sua storia c'è l'anima della 'brava gente' che rifiuta di sottostare alle regole del gioco sporco e lotta per farsi sentire. E' proprio quella apparente ordinarietà di Siani a rivelare la sua eccezionalità. I suoi scritti, i suoi pensieri, sono affidati a una voce fuori campo che forse spiega fin troppo, ma ciò che conta maggiormente è la presenza di Siani. Lì dove conta, lì dove sembrerebbe impossibile arrivare, lì dove mancano le istituzioni, il giornalista napoletano si fa trovare puntualmente, con taccuino e penna, pronto a far domande, a mettere in crisi l'arrogante sicurezza dei potenti.
Sorprendente la prova di Libero De Rienzo che fa del suo eroe un ragazzo coscienzioso con qualche sbandata sul piano privato, capace di conquistarsi lo spettatore poco a poco, senza esigere la sua complicità. L'attore napoletano cerca in sé quel bagliore di innocenza che contraddistingueva Siani senza mai cadere nell'ingenuità. L'occhio di Siani va a scandagliare una realtà deprimente, malata, quella di una città messa in ginocchio dalla superbia della camorra e dai suoi intimi rapporti con la politica. Solo raramente appare qualche altra voce fuori dal coro, qualcuno che aiuta il ragazzo nel suo processo di scoperta e la giustizia a fare il suo corso. A dominare è la paura, il terrore di essere messi a tacere con un colpo di pistola che in una paese che sembra realmente in guerra non farebbe poi così notizia. Siani quella notizia se la va a cercare, onora il suo mestiere strappandola via dalla morsa dell'oblio e dell'omertà e la sputa in faccia a chi governa e a coloro che leggono i suoi pezzi, magari con un po' di imbarazzo. Fortàpasc non si risparmia nel mostrare con trasporto una società allo sbando, ma quando s'addentra nell'universo privato del protagonista, negli ultimi quattro mesi della sua vita prima della tragica esecuzione, si perde in inutili affanni amorosi e qualche lezioncina di troppo. La musica melodica napoletana prova a rilassare un racconto a tratti confuso, sottolineando quella malinconia di fondo che lo governa. E sebbene il finale si conosca già, le ultime immagini del film fanno male, ma nella dignità dello sguardo di Giancarlo Siani ai suoi killer c'è la speranza che non tutto sia andato perduto nel sangue.