Io, noi e Gaber la recensione: Giorgio Gaber, l’uomo che vedeva nel futuro

La recensione di Io, noi e Gaber: il documentario scritto e diretto da Riccardo Milani, presentato alla Festa del Cinema di Roma, è al cinema il 6, 7 e 8 novembre: è un film allo stesso tempo affettuoso e appassionante.

Io, noi e Gaber la recensione: Giorgio Gaber, l’uomo che vedeva nel futuro

È la fine degli anni Ottanta, e Giorgio Gaber si trova a una presentazione. Sono gli anni della caduta del Muro di Berlino e gli viene chiesto se è davvero la fine delle ideologie. Gaber risponde che le ideologie non sono state sconfitte, ma ce n'è una che ha vinto, quella del mercato. È un momento che colpisce, ascoltandolo oggi dove quella cosa che aveva già capito, si è avverata pienamente. Giorgio Gaber era un uomo che vedeva nel futuro. Ed è anche questo che vi raccontiamo nella recensione di Io, noi e Gaber, il documentario scritto e diretto da Riccardo Milani, presentato alla diciottesima Festa del Cinema di Roma e in uscita al cinema il 6, 7 e 8 novembre, distribuito da Lucky Red. È un film allo stesso tempo affettuoso e appassionante, rigoroso e stimolante. E alla fine anche universale: perché attraverso la figura di Gaber si riflette anche sulla figura dell'intellettuale, che oggi è sparita, e di cui ci sarebbe bisogno. Anzi, ci sarebbe bisogno proprio di Giorgio Gaber.

Canzoni ironiche, leggere ma intense

Sanremo 1961, Giorgio Gaber
Sanremo 1961, Giorgio Gaber

La prima vita di Giorgio Gaber è indissolubilmente legata a Milano, anzi ad alcuni quartieri di Milano. Sì, perché negli anni Sessanta la città si viveva a seconda dei quartieri in cui si era. E così Gaber parlava di quei quartieri: Porta Romana, il Giambellino (quello de La ballata del Cerutti), le osterie dove bere Trani a gogò (il vino di bassa qualità che arriva dalla puglia, appunto da Trani). Era capace di scrivere canzoni ironiche, leggere ma intense. Ma anche canzoni romantiche come Non arrossire, con quel verso "non aver paura di darmi un bacio" che in tanti abbiamo sempre pensato ma solo lui ha scritto, una delle più belle canzoni d'amore italiane. In coppia con Enzo Jannacci, poi, dava vita a dei numeri che erano allo stesso tempo canzoni e sketch.

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La tivù è violenta sia per chi la fa che per chi l'ascolta

Giorgio Gaber durante uno dei suoi spettacoli
Giorgio Gaber durante uno dei suoi spettacoli

A 23 anni Giorgio Gaber è già una star della tv. È il presentatore e il mattatore di uno show in prima serata, il Canzoniere minimo. È in grado, insieme a Caterina Caselli, di lanciare due talenti sconosciuti come Francesco Guccini e "Francesco" Battiato, poi diventato Franco. Ma sa già che "la tivù è violenta sia per chi la fa che per chi l'ascolta". Queste parole dette negli anni Sessanta e ascoltate oggi danno i brividi. E vedendo il documentario Io, noi e Gaber vi troverete spessissimo a notare quanto alcune sue frasi, pensieri canzoni siano attualissime oggi, e come Gaber abbia visto più volte nel futuro. Fatto sta che per lui la televisione era un mezzo e non un fine. E, una volta capito che non era il mezzo giusto per lui, la lasciò.

Giorgio Gaber, il Signor G. e il teatro-canzone

Gaber in uno dei suoi spettacoli teatrali
Gaber in uno dei suoi spettacoli teatrali

Fu grazie a Mina, che lo volle in tournee per due anni ad aprire i suoi concerti, che iniziò a scoprire il teatro. E fu così che iniziò la seconda vita di Giorgio Gaber. Nasce il personaggio del Signor G. e una nuova forma di spettacolo, il teatro-canzone. Gaber qui si trova a suo agio, nascono slogano importanti come "non c'è niente di più volgare delle idee", e "non sappiamo se piangere o ridere o battere le mani", una canzone che, ascoltata oggi, sembra proprio raccontare i nostri tempi, il famoso "la libertà è partecipazione". In quelle esibizioni a teatro, Gaber non era solo un cantante: il suo era un uso del corpo totale, un prendersi carico della parola con tutto il corpo e far arrivare il significato della canzone nel modo più potente possibile. Finiva i suoi concerti stremato, sudatissimo. E li chiudeva con un urlo, prima di cercare in quinta la chitarra per dei bis che erano molto rock.

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Canzoni ironiche che sono delle vere e proprie stilettate

Una immagine di Giorgio Gaber
Una immagine di Giorgio Gaber

Ma l'importanza di Giorgio Gaber viene fuori tutta quando con le sue canzoni comincia a scrutare il periodo complesso e doloroso che stava vivendo l'Italia negli anni Settanta, tra le stragi e il terrorismo. E un movimento, quello della sinistra del Sessantotto, che stava andando verso la massificazione, con una generazione che stava perdendo la sua genuinità. Così Gaber canta canzoni ironiche che sono delle vere e proprie stilettate, come Polli di allevamento e Quando è moda è moda. Canzoni che avevano una capacità critica, che facevano ragionare, che creavano consapevolezza. Ma che furono anche contestate, in quella stagione folle dell'Italia in cui Mogol e Battisti venivano additati come fascisti perché non scrivevano canzoni di protesta e De Gregori attaccato perché era troppo ricco.

La capacità di vedere prima le cose

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Io, noi e Gaber: una foto del film

Queste canzoni di Gaber sono legate a un'era, ma ascoltate ancora oggi non perdono mai di senso. Giorgio Gaber aveva la capacità di vedere prima le cose, senza farsi influenzare dalle ideologie. È da brividi il momento in cui, interpellato sulla caduta del Muro di Berlino disse lucidamente che le ideologie non erano sconfitte, ma ce n'era una che aveva vinto, quella del mercato. Ed è ancora prima della caduta del Muro che scrisse una delle canzoni più famose, Destra-sinistra (nata da una lista uscita sulla rivista Dire Fare Baciare di Gino e Michele), che negli anni seguenti, quelli della polarizzazione politica, avrebbe acquisito ancora più senso.

Riccardo Milani racconta Giorgio Gaber con affetto e lucidità

Io Noi Gaber Poster
Locandina di Io, noi e Gaber

Con Io, noi e Gaber Riccardo Milani racconta Giorgio Gaber con affetto, circondandosi dei suoi amici e di chi è diventato fan dell'artista. Ascoltiamo così Gianni Morandi, Gino e Michele, Ricky Gianco, Mogol, Gino e Michele, Jovanotti, Claudio Bisio, Fabio Fazio, Vincenzo Mollica, Michele Serra, Mario Capanna, Ivano Fossati e tanti altri. C'è la figlia, Dalia Gaberscik, e anche il figlio di Enzo Jannacci. Tutti con il loro aneddoto, con un ricordo affettuoso, ma anche con notazioni puntuali in grado di cogliere le caratteristiche peculiari di un artista unico. Accanto alle testimonianze, un preziosissimo e ampio materiale di repertorio. Il film si chiude riunendo insieme tutte le persone che hanno amato Gaber in un teatro, il Teatro Lirico Giorgio Gaber. Tutti sono seduti in platea insieme ad assistere a uno show di Gaber, come se lo stessero vedendo dal vivo. La canzone che ascoltiamo insieme a loro è C'è solo la strada. Ed è un'altra canzone che, ancora una volta, sembra acquistare un senso nuovo, attuale. "Perché il giudizio universale non passa per le case, le case dove noi ci nascondiamo. Bisogna ritornare nella strada, nella strada per conoscere chi siamo".

Conclusioni

Come vi raccontiamo nella recensione di Io, noi e Gaber, è un film allo stesso tempo affettuoso e appassionante, rigoroso e stimolante. E alla fine anche universale: perché attraverso la figura di Gaber si riflette anche sulla figura dell'intellettuale, che oggi è sparita, e di cui ci sarebbe bisogno. Anzi, ci sarebbe bisogno proprio di Giorgio Gaber.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.3/5

Perché ci piace

  • La personalità artistica di Giorgio Gaber e il suo percorso artistico.
  • L'attualità di certe canzoni e di certe riflessioni che sembrano aver letto nel futuro.
  • La cura e l'affetto con cui Riccardo Milani ha costruito il film.

Cosa non va

  • Delle scritte in sovraimpressione avrebbero aiutato a contestualizzare meglio canzoni, date e personaggi.