Recensione The Flowers of War (2011)

Tra pregi e difetti, il nuovo film di Zhang Yimou è comunque un passo avanti rispetto ai meno riusciti ultimi lavori dell'autore: una produzione di alto livello e un toccante racconto di un evento drammatico e molto sentito della storia del suo paese.

Innocenza da salvare

La prima vittima della guerra è l'innocenza. Ce lo ricordava Oliver Stone nel suo Platoon. ma quando, nonostante la guerra, la tragedia e la sofferenza, ne resta ancora un briciolo, è giusto fare tutto il possibile per salvaguardarla, proteggerla e coltivarla.
E' forse quello che convince l'americano John Miller a mettere da parte gli interessi personali che lo hanno portato in Cina e fare quanto in suo potere per proteggere una dozzina di ragazzine cinesi di non più di dodici anni, studentesse di una cattedrale cattolica in Nanchino e rimaste orfane una seconda volta, avendo perso anche il prete che si prendeva cura di loro e le istruiva. John si imbatte in due di loro per le vie della città cinese proprio mentre diretto alla loro cattedrale per dare una mano al sacerdote. Retribuito, ovviamente, perchè John non ha molto del buon samaritano ed il suo fine primario è il guadagno. Non ha intenzione di fermarsi a lungo, giusto il tempo necessario per dormire in un letto comodo, bere del buon vino e trovare rifugio nel corso dell'attacco giapponese alla città; ma il gruppo si fa presto più corposo, perchè un manipolo di prostitute fuggite dal quartiere a luci rosse trova rifugio nella cantina della chiesa e, dopo una cruenta irruzione dei militari giapponesi, John dovrà arrendersi all'evidenza di avere la possibilità di fare materialmente qualcosa per loro, indossando la tonaca e fingendosi prete, aiutandole a riparare il furgone che potrebbe condurle alla fuga e, soprattutto, dando loro sicurezza con la sua presenza.

Sono eventi reali ad aver ispirato il romando di Yan Geling The Thirteen Flowers of War, da cui Zhang Yimou ha tratto il suo nuovo lavoro The Flowers of War, presentato fuori concorso alla 62ma edizione del Festival di Berlino e tra i più attesi film cinesi dell'anno, nonchè il più costoso. Eventi reali e per questo ancor più dolorosi da vedere sul grande schermo, soprattutto con la messa in scena accurata ed imponente del regista cinese che non si nasconde e mostra con esplicita chiarezza alcuni dei passaggi più crudi. E' una scelta, quella di essere diretti ed espliciti, che a tratti si scontra con il manierismo e l'eleganza di altre sequenze che invece rischia di catalizzare l'attenzione, distogliendola dalle atrocità messe in scena.
Un secondo difetto è riscontrabile nella drastica separazione tra buoni e cattivi, nella eccessiva malvagità con cui sono descritti i soldati giapponesi che hanno in ostaggio la città intera, senza nessun tentativo di approfondire le loro motivazioni, di umanizzarli in qualche modo, dando l'idea di cattivi da fumetto piuttosto che soldati nemici all'opera, mentre i buoni, da Miller alle prostitute rifugiate in chiesa, sono pronti al sacrificio per salvaguardare le vite delle giovanissime studentesse della cattedrale.
E' però questo che contribuisce a dare il sapore epico a The Flowers of War. Insieme ad una colonna sonora che sa sostenere l'azione, un buon montaggio ed una fotografia a tratti magnifica firmata da Xiaoding Zhao, tutti elementi che riescono a trasmettere le diverse atmosfere che compongono il film, riuscendo a colpire nel profondo lo spettatore nelle sequenze più cruente ed emozionarlo in quelle più delicate.
La storia è sorretta anche da un buon cast: Christian Bale è lasciato libero di agire dal regista e rischia di cadere in una recitazione un po' troppo sopra le righe, ma riesce a rendere il percorso di redenzione del suo John Miller; sorprende invece il livello medio delle colleghe cinesi che lo circondano, per lo più alla primissima esperienza su grande schermo, tra le quali spicca la coprotagonista Ni Ni, che offre al suo esordio un ritratto misurato ed elegante della sua Yu Mo. Anche in questo caso i dubbi riguardano la porzione giapponese di cast, con Atsuro Watabe in testa, intrappolati in personaggi troppo semplicistici e monocorde.
Tra pregi e difetti, però, il nuovo film di Zhang Yimou, sicuramente tra i più noti registi orientali a livelo internazionale, è comunque un passo avanti rispetto ai meno riusciti ultimi lavori dell'autore, una produzione di alto livello ed è un toccante racconto di un evento drammatico e molto sentito della storia del suo paese che potrà emozionare e colpire molti spettatori di tutto il mondo.

Movieplayer.it

3.0/5