Il viaggio di Yao, la recensione: Omar Sy alla scoperta delle sue radici

La recensione de Il viaggio di Yao: un road movie che è anche una favola e, anche se non è autobiografico, è un film costruito su Omar Sy, e ci racconta qualcosa di lui.

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Il viaggio di Yao: Omar Sy e Lionel Louis Basse in un momento del film

"Don't worry about a thing, 'cause every little thing gonna be all right". Non preoccuparti di nulla, perché ogni cosa andrà bene. Three Little Birds, una delle canzoni più solari e positive del grande Bob Marley, e di tutta la storia della musica, è uno dei fili conduttori de Il viaggio di Yao, il film di Philippe Goudeau con Omar Sy in uscita il 4 aprile. Se il film di Goudeau fosse una canzone sarebbe proprio la hit di Marley. Dalla recensione de Il viaggio di Yao capirete subito che è un film solare, ottimista, una favola edificante sulla ricerca delle proprie radici e di rapporti affettivi che vanno al di là della famiglia di sangue.

Il viaggio di Yao, video intervista esclusiva al protagonista Omar Sy

La trama: Dakar andata e ritorno

La trama de Il viaggio di Yao si apre nel nord del Senegal: Yao (Lionel Basse) è un ragazzino di tredici anni che sogna di incontrare il suo idolo, Seydou Tall (Omar Sy), un attore francese. Quando scopre che sarà a Dakar per presentare il suo libro, che Yao in qualche modo ha recuperato, rilegato e letto, decide di gettarsi da solo in un viaggio di 387 chilometri per raggiungerlo. Seydou non resterà indifferente al ragazzo, e deciderà di accompagnarlo a casa. Quel viaggio avrebbe dovuto farlo con suo figlio, di sei anni, ma la madre, da cui è separato, non lo ha permesso. E così, tra i due, nasce un rapporto molto particolare: Yao diventa in qualche modo per Seydou il figlio che, in quel momento, non può avere con sé, o una sorta di fratello maggiore per quel bambino. Per Yao Seydou diventa una guida, quasi un secondo padre, più sensibile e simile a lui, che legge libri di Jules Verne, del padre che ha. Seydou e Yao diventano una sorta di famiglia ideale, basata non su legami di sangue ma affettivi.

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Il viaggio di Yao: Omar Sy e Lionel Louis Basse in una scena

Un film costruito su Omar Sy

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Il viaggio di Yao: Omar Sy e Lionel Louis Basse in una scena del film

Ma Yao ha anche un'altra funzione: quella di far riconnettere Seydou con le sue radici, con quel Senegal da dove viene ma dove in realtà non è mai stato e non conosce. E in questo senso Il viaggio di Yao è in fondo la storia di Omar Sy: non è un film autobiografico, né una sceneggiatura scritta dall'attore lanciato da Quasi amici, ma una storia che Philippe Goudeau ha scritto pensando a lui. Sy è ormai una star, che vive a Los Angeles per proteggere la sua famiglia (ha cinque figli) dalla grande notorietà che ha raggiunto in Francia, e da tutto quello che comporta (gli stessi film francesi, come Non sposate le mie figlie 2, ci ironizzano su). Il regista, che ha scritto la storia ispirandosi ai viaggi che faceva per andare a trovare suo padre che lavorava in Mali, ha pensato che fosse particolarmente adatta a Sy, che anche lui avesse bisogno di confrontarsi di nuovo con le sue radici. Il viaggio di Yao, allora, non è un film autobiografico, ma è qualcosa che mescola arte e vita, e permette all'attore francese di mostrarci un nuovo lato di sé, un'interpretazione meno giocata sui registri comici ma più su un lavoro di sottrazione. A Omar Sy forse non serve interpretare, gli basta essere Seydou, che probabilmente significa essere se stesso. Accanto lui spiccano il giovanissimo Lionel Basse, che è uno Yao pieno di energia, e Fatoumata Diawara, che interpreta Gloria, una donna libera e sensuale che i due incontrano sul loro cammino: è una cantante, e canta (proprio la canzone di Bob Marley) nel film e nella colonna sonora, un blues caldo e dai ritmi lenti, composto e suonato dal musicista africano M.

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I bianchi, i neri, la religione

In fondo, quella de Il viaggio di Yao è tutta una storia di ritmi. Seydou deve fare questo, abituarsi ai ritmi dell'Africa, ai suoi tempi, inevitabilmente lontanissimi da quelli occidentali a cui è abituato. "Il tempo scorre diversamente nel deserto" sentiamo dire nel film. E ci si abituerà presto, e volentieri, il protagonista, che, come lo chiama Yao, è un bounty, nero fuori ma bianco dentro, visto che, in tutto e per tutto è un francese. E probabilmente è anche ateo.

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Il viaggio di Yao: Omar Sy con Lionel Louis Basse in una scena

Una delle sequenze più belle del film fa riferimento alla religione. Non che questo faccia de Il viaggio di Yao un film a tema religioso, ma aggiunge uno spunto interessante al film: perché perdere le proprie radici culturali spesso vuol dire perdere quelle religiose. C'è un momento in cui Seyodu, in taxi, con la fretta di arrivare, è costretto a fermarsi perché le strade sono completamente bloccate da persone intente a pregare. È una scena che il regista ha davvero vissuto nel suo viaggio per i sopralluoghi in Senegal, e l'ha messa nel film così, senza alcun commento, filmandola in campo lungo, sia frontalmente che a distanza.

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Tra road movie e favola

Il viaggio di Yao è un film ottimista ed educativo, che ha forse solo il piccolo difetto di mostrare un'Africa ideale, senza i problemi che, lo sappiamo tutti, ci sono. Anche se c'è da dire che si parla del Senegal, che è comunque un paese in crescita. È un road movie virato in favola. È una canzone reggae che, alla fine, ci dice che ogni cosa andrà bene.

Conclusioni

La recensione de Il viaggio di Yao ci racconta un film solare, ottimista, una favola sulla ricerca delle proprie radici; un road movie che diventa un viaggio dentro l'anima e che, come una canzone reggae, ci dice che ogni cosa andrà bene.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
3.6/5

Perché ci piace

  • L'ottimismo e la positività del film.
  • L'idea che il film sia costruito su Omar Sy e unisca così arte e vita.
  • La riflessione sul sintonizzarsi su tempi e ritmi di vita diversi, e sulla religione.

Cosa non va

  • Forse solo il fatto di mostrare un’Africa ideale, senza i problemi che, lo sappiamo tutti, ci sono.