Il potere del cane: ambiguità e desiderio nel film di Jane Campion

Ne Il potere del cane, Jane Campion costruisce sull'ambiguità e sulle ellissi un racconto pervaso di inquietudine, che rivela la sua vera natura in uno spiazzante finale.

"Mi ha insegnato a usare gli occhi in modi che gli altri non conoscono. Prendi la collina laggiù. Chi la guarda vede soltanto una collina; quando Bronco la guardava, secondo te che vedeva?" "Un cane che abbaia."

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Il potere del cane: un'immagine di Kirsten Dunst

Il potere del cane è uno di quei film che hanno il pregio di sfidare lo spettatore: una sfida che è parte integrante del fascino dell'opera di Jane Campion, un'opera costruita sui silenzi, sulle ellissi e ancor di più sui 'vuoti' da riempire. Per certi aspetti, l'adattamento della regista neozelandese dell'omonimo romanzo di Thomas Savage, pubblicato nel 1967, costituisce un'antitesi del melodramma: le emozioni sono costantemente trattenute, inespresse, i conflitti si consumano solo interiormente, mentre quelli che dovrebbero essere i due momenti-chiave della storia - un matrimonio e una morte - vengono confinati fuori scena. Non ci sono esplosioni, ad eccezione di un paio di sfoghi rabbiosi del ranchero Phil Burbank; né c'è speranza di catarsi, in un finale raccontato invece in sottrazione, e il cui enigma è sciolto solo negli ultimi istanti.

L'antimelodramma western di Jane Campion

Kodi Smit Mcphee
Il potere del cane: un'immagine di Kodi Smit-McPhee

"Libera l'anima mia dalla spada, e il mio amore dal potere del cane", sono i versi che il Peter Gordon di Kodi Smit-McPhee legge da una pagina dei salmi nel Book of Common Prayer. Dalla finestra della propria stanza, il giovane osserva quindi la madre Rose (Kirsten Dunst) e suo marito George Burbank (Jesse Plemons) rientrare a casa, stretti l'uno all'altra e, in qualche modo, felici. È un lungo bacio a suggellare l'idillio fra i due coniugi; Peter contempla la scena dall'alto, quindi si volta e si allontana dalla finestra, accennando un sorriso. Il ragazzo, in effetti, è stato l'artefice di quella rinnovata serenità; è lui ad aver sottratto la madre all'abisso in cui avevamo visto precipitare la donna, giorno dopo giorno, mentre il volto di Kirsten Dunst si trasformava in una maschera di disperazione e di smarrimento. Un lieto fine, dunque, ma che ha richiesto un inesorabile tributo di sangue.

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Il potere del cane: un'immagine di Benedict Cumberbatch
Kirsten Dunst
Il potere del cane: un'immagine di Kirsten Dunst

Il potere del cane, del resto, è un film complesso e sfaccettato, che dal genere western riprende l'ambientazione (il Montana degli anni Venti del Novecento) e l'immaginario, ma impernia la tensione esclusivamente sulle relazioni fra i personaggi; e quei personaggi, che in principio sembrano aderire a tipologie umane ben precise, rivelano una natura mutevole e sorprendente. Rose, la vedova che ha proseguito indomita l'attività del marito e ha cresciuto da sola un figlio ormai ventenne, inizia a sgretolarsi dopo le nozze con George, oppressa da un implacabile senso di inadeguatezza (la sua paralisi davanti al pianoforte è fra i passaggi più drammatici del film). E Phil, il cowboy dagli occhi di ghiaccio che si presentava con le sembianze di un aguzzino, apre un varco nella propria durezza, accogliendo Peter sotto la sua ala a dispetto dei timori della madre.

Il potere del cane, la recensione: perdersi ai confini del western

L'oscuro antieroe di Benedict Cumberbatch

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Il potere del cane: un'immagine di Benedict Cumberbatch

Phil Burbank, figura centrale de Il potere del cane, è un protagonista innervato di contraddizioni e lati oscuri. Un antieroe che si mantiene a distanza dagli altri comprimari, così come dallo sguardo del pubblico: nella maggior parte dei casi è da solo nell'inquadratura, e le sue motivazioni sono ammantate da un'ambiguità che non è facile decifrare. Per Benedict Cumberbatch, quarantacinquenne londinese salito alla ribalta nel 2010 grazie alla serie TV Sherlock, si tratta di un ruolo lontanissimo da quelli che lo hanno reso uno degli attori più popolari dello scorso decennio (fra cui l'Alan Turing di The Imitation Game): Phil è un autentico mistero, forse perfino per se stesso, e in un film che non concede facili risposte spetta a Cumberbatch farci intuire le traiettorie dei sentimenti irrisolti e dei desideri inconfessabili del protagonista, ricavandone la miglior interpretazione della sua carriera.

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Il potere del cane: un'immagine di Benedict Cumberbatch
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Il potere del cane: un'immagine di Benedict Cumberbatch

L'evoluzione di Phil nell'arco della pellicola è quanto mai singolare: nella prima parte, che sposa in prevalenza la prospettiva di Rose, il suo bieco cognato assume la funzione di un villain. Mentre Rose si affanna a trovare un equilibrio nella sua nuova esistenza da signora della prateria, Phil è l'individuo sinistro e umbratile che si aggira per il ranch e nella dimora padronale della famiglia Burbank. Poi però rientra in scena Peter, e i rapporti di forza cominciano a cambiare; nel frattempo anche il film sposta il suo baricentro, focalizzando l'attenzione sul legame fra Peter e Phil, sulla diffidenza che cede il posto al senso di protezione e a un'affinità insospettabile. Per la prima volta Phil abbassa la guardia e si apre a qualcun altro, e in contemporanea pure a noi spettatori; di contro, stavolta è Peter a porsi dietro uno schermo e, senza che nessuno se ne renda conto, a prendere in mano le redini del gioco.

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Rimuovere gli ostacoli

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Il potere del cane: un'immagine di Kodi Smit-McPhee

Peter, il ragazzo dai modi delicati che realizza eleganti fiori di carta e, con altrettanta precisione, svolge autopsie sui corpi dei conigli, propone un punto di vista estraneo al selvaggio mondo del West a cui appartengono lui e sua madre; e tuttavia il suo essere 'alieno' a questo mondo, l'inevitabile oggetto dello scherno dei cowboy, lo rende l'osservatore più acuto, l'unico in grado di cogliere la verità con l'occhio freddo e analitico dello scienziato. Non a caso Jane Campion si sofferma sui primi piani del venticinquenne Kodi Smit-McPhee, ex enfant prodige di The Road e Blood Story e qui alle prese con un personaggio che non si affida tanto alle parole, quanto a un'espressività che è un'apoteosi di autocontrollo e di doppiezza. Peter reagisce al machismo tossico che lo circonda con placida e imperturbabile indifferenza; e in seguito, quando Phil gli dedicherà il suo tempo e addirittura il suo affetto, Peter ne susciterà il desiderio con provocazioni sottili, quasi impalpabili.

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Il potere del cane: Kodi Smit-McPhee e Benedict Cumberbatch
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Il potere del cane: un'immagine di Benedict Cumberbatch

A sprigionare l'attrazione fra i due uomini è solo una sigaretta accesa, e portata alle labbra dell'altro; eppure, in quella breve scena una consapevolezza sfrontata illumina il viso di Peter. In controcampo, invece, il primissimo piano di Phil è immerso nella penombra: è lui a essere sotto scacco, è su di lui che pende una minaccia. Se l'eros è invariabilmente un gioco di potere, a tenere il coltello dalla parte del manico è Phil, il figlio e l'amante che Peter non ha mai avuto. E l'eros, nel suo tragico binomio con la morte, sarà adoperato dal giovane per rimuovere l'ostacolo alla felicità sua e di sua madre. "Mio padre diceva 'ostacoli'... e devi provare a rimuoverli": le parole che avevano suscitato l'ironia di Peter si ritorceranno contro l'uomo, tradito proprio dal cuoio che gli era stato offerto da Phil, catturando definitivamente la sua fiducia. Il dono funesto che, in quell'epilogo rivelatorio ed atroce, il ragazzo riporrà sotto il suo letto, come un pugnale imbrattato di sangue.

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