Recensione Animal House (1978)

Qui non c'è differenza tra il bene e il male o tra la vita e la morte. In Animal House c'è solo la differenza tra chi vuole divertirsi e chi, invece, vuole essere allineato. I due John d'America (Landis e Belushi) inaugurano alla grande il filone della demenzialità a stelle e strisce.

Il Delta e l'Omega della goliardia

Il manichino che vola giù da una finestra della Delta House all'arrivo delle due matricole Pinto (Tom Hulce, il Mozart di Amadeus) e Flounder, è già di per sé un manifesto programmatico: in questa confraternita non ci sono le finzioni, gli atteggiamenti snobistici e le stucchevoli iniziative degli Omega. I Delta sono quei ragazzi che fanno congiungere i fiumi di birra ed un mare di divertimento. Gli Omega sono solo mocciosi che decretano, e in forte anticipo, la fine d'ogni cosa, illecita ed esagerata.

Animal House prosegue sulla falsariga dell'American Graffiti di George Lucas (con l'omaggio dichiarato del finale che presenta, come lì, il riassunto delle vite dei singoli protagonisti) ma, differentemente dal film del regista di Modesto, John Landis riempie lo schermo di trovate goliardiche e di eccessi giovanili, come se fosse alle prese con una strampalata sinfonia (il collage sonoro con parodie di musiche colte costruito da Elmer Bernstein, non poteva essere più emblematico). In questa casa di animali, infatti, non si vuole assolutamente ricordare con nostalgia quei tempi andati. Lo spettacolo è continuo, senza tappe e senza "scadenze". E quando qualcuno decide che lo svago deve terminare, stabilisce involontariamente l'avvio di un nuovo gioco ancora più duro.

E chi più dell'esuberante John Belushi (Bluto Blutarsky) poteva essere il più indicato per trasgredire le ferree regole del college? Il futuro fratello del blues è la vera forza centripeta della pellicola di Landis: si schiaccia lattine di birra vuote sulla fronte, divora hamburger in un sol boccone e beve una bottiglia di whisky tutta d'un sorso. Ma Animal House è anche il primo film di un quasi irriconoscibile Kevin Bacon e, come sceneggiatore, di Harold Ramis, futuro realizzatore dello script di Ghostbusters - Acchiappafantasmi e regista di Terapia e pallottole. In Animal House c'è anche il grande Donald Sutherland nelle vesti di un professore di lettere "sessantottino" e c'è anche un motociclista che trascorre il suo D-Day (questo è il suo nome) "sbarcando" con la sua moto all'interno della Delta House (lo stesso Landis, con The Blues Brothers, bisserà la fulminante idea con la mitica corsa in auto tra i negozi di un centro commerciale). Nel film di John Landis, insomma, sono troppi i momenti esilaranti per essere supinamente elencati. Animal House avvia così la moda del college film demenziale che, con i vari Porky's e, in tempi recenti, American Pie e Maial College, non raggiungerà più i livelli di genuinità e di (dis)onestà intellettuale delle gags politicamente scorrette di Belushi e compagnia bella. E, vedendo e rivedendo il film, siamo noi a provare un po' di quella nostalgia che Landis ha cercato di rifuggire (riuscendoci) nel corso di Animal House. Perché i duri, quelli in grado di scherzare sul serio, hanno smesso di giocare ormai da tanto, troppo tempo. Ci rivedremo, forse, al prossimo toga party, caro ed incorreggibile Bluto...