Recensione Maternity Blues (2011)

Conquistato dall'opera teatrale di Grazia Verasani, 'From Medea' da cui è liberamente tratto il film, Fabrizio Cattani si assume la responsabilità di portare il cinema su di un terreno pericoloso, dimostrando di essere dotato della giusta dose di coraggio per affrontare le insidie di un racconto tanto estremo quanto inevitabile.

Il delitto di essere madre

In questi ultimi anni il caso della madre assassina ha praticamente riempito le pagine dei giornali ed ha regalato ai talkshow televisivi un'audience da record. Eppure, oltre lo sdegno e il comprensibile orrore che nasce di fronte ad un delitto considerato dalla società contro natura, non ci si è mai soffermati troppo a capire le motivazioni e le responsabilità di un problema che sta drammaticamente diventando un fenomeno sempre più diffuso. Perché il caso di Anna Maria Franzoni non è un evento isolato, ma nasconde una realtà che non può più essere negata. Stiamo parlando delle madri affette da Maternity Blues, ossia una forma piuttosto grave di depressione postpartum che, oltre a protrarsi nel tempo, può condurre all'omicidio/suicidio. A queste figure drammatiche, allo stesso tempo colpevoli e vittime, Fabrizio Cattani ha dedicato un film poetico e struggente che, attraverso le storie di quattro donne rinchiuse in un ospedale psichiatrico giudiziario, cerca di ricostruire il ritratto di un malessere sociale che nasce troppo spesso dalla solitudine, dal silenzio e dalla vergogna di non sentirsi all'altezza delle aspettative. Per questo motivo Clara, Vincenza, Eloisa e Rina si trovano a condividere lo spazio di una camerata e il tempo all'interno di un centro di recupero cercando di venire a patti con il giudice più spietato: se stesse.


Per alcune di loro l'uccisione del proprio figlio è una realtà da guardare dritta negli occhi senza apparente sofferenza, per altre e' il senso di colpa che non trova consolazione nemmeno nella fede. Tutte, senza nessuna differenza, sembrano vivere nel rimpianto di non aver capito la natura del loro male, prendendosi completamente il peso di una colpa che non può essere condivisa. Conquistato dall'opera teatrale di Grazia Verasani, From Medea da cui è liberamente tratto il film, Cattani si assume così la responsabilità di portare il cinema su di un terreno pericoloso, dimostrando di essere dotato della giusta dose di coraggio per affrontare le insidie di un racconto tanto estremo quanto inevitabile. Anzi, sfidando l'opinione pubblica ad osservare il problema dal punto di vista delle colpevoli, Maternity Blues s'impone come un'esperienza utile e necessaria per capire che la natura umana è infinitamente più complessa di quanto raccontato nei salotti televisivi. Ed e' proprio per soddisfare questa esigenza culturale e sociale che Cattani utilizza la telecamera come uno strumento di osservazione attraverso il quale riordinare, sempre che questo sia possibile, le molte verità delle sue madri. Un risultato ottenuto affidandosi soprattutto ad una regia pulita ed elegante che, fatta eccezione per alcuni momenti melodrammatici, sceglie di lasciare spazio a volti, silenzi e solitudini per dare vita ad una narrazione priva di condanne ed assoluzioni.

In questo modo, non solo il regista si allontana da qualsiasi discussione etica e morale sollevata dai casi d'infanticidio, ma lascia alle sue protagoniste la responsabilità di portare materialmente sullo schermo una sceneggiatura completa e ben realizzata in ogni aspetto umano e sentimentale. Come si può continuare ad amare l'assassina dei tuoi figli? E' possibile sostenere un senso di colpa così devastante ma, soprattutto, quanta disperazione ha scatenato la follia? A queste domande cercano di rispondere Andrea Osvart, Monica Birladeanu, Chiara Martegiani. Marina Pennafina e Daniele Pecci che, muovendosi all'interno della vicenda con naturalezza e senza nessun eccesso drammatico, realizzano il ritratto di una maternità senza diritto al perdono ma con la necessità di essere finalmente considerata. Allo stesso modo, attraverso l'utilizzo dell'ospedale psichiatrico come luogo distante dal mondo reale dove poter analizzare la devastante gravità delle proprie azioni e la rappresentazione di quattro diversi caratteri femminili, si forma la struttura di un universo complesso in cui la disperazione non risparmia nessuno, nemmeno la parte maschile che si trova a dover dividere, forse troppo tardi, responsabilità e dolore.

Movieplayer.it

4.0/5