Il buco, la recensione: viaggio esistenziale nelle profondità della Terra

Il buco, nuovo film di Michelangelo Frammartino, presentato in concorso al Festival di Venezia 2021, che mette in scena un viaggio nelle profondità della Terra.

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Il buco: una scena

Quello di cui parleremo nella nostra recensione de Il buco è un cinema che solitamente rimane distante dal grande pubblico, eppure capace di mettere in scena, nei suoi momenti migliori, tutta la pura bellezza dell'arte cinematografica. Di conseguenza non ci sorprende la presenza di questa nuova opera di Michelangelo Frammartino, il terzo lungometraggio che arriva a ben undici anni di distanza dal precedente Le quattro volte, tra i titoli in concorso a Venezia 78. Si tratta di un'opera audace, sicuramente respingente e che necessita di essere accolta con più di qualche sforzo, ma anche capace di premiare lo spettatore disposto a cedere una forte istanza narrativa per lasciarsi travolgere dall'esperienza audiovisiva.

Tra paradiso e inferno

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Il buco: un'immagine del film

Negli anni Sessanta, in pieno boom economico, alcuni speleologi decidono di esplorare quella che diventerà una delle grotte più profonde d'Europa (il buco del titolo) che si trova in terra calabrese. Con una profondità di quasi 700 metri, l'esplorazione occuperà parecchio tempo immersi nelle viscere della Terra, mentre fuori la vita quotidiana dei contadini e degli abitanti del posto prosegue normalmente. Attraverso un montaggio alternato che trova una comprensione definitiva nel finale del film, Frammartino decide di ricostruire quell'impresa incredibile, aggiungendo la storia di un pastore che osserva i lavori. Non si tratta, quindi, di un vero e proprio documentario, ma di un'opera di fiction quanto più vicina al minimalismo e alla naturalezza della "vita colta in flagrante". Scene ambientate alla luce del giorno, tra l'erba verde e il pascolo di una mandria di mucche si alternano a sequenze nel buio più totale, dove solo fioche luci illuminano i contorni delle gallerie naturali. Si crea un continuo dialogo, che riguarda sia l'apparato visivo, grazie alla scelta dei colori, che quello sonoro, tra il paradiso terrestre e l'inferno sotto di esso.

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Una profonda esperienza cinematografica

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Il buco: una scena del film

Dove Il buco si dimostra degno di nota è nella creazione di un'esperienza cinematografica purissima e, di conseguenza, senza compromessi. Quasi completamente senza dialoghi (salvo nel prologo), il film decide di lasciare che siano i rumori e i suoni a fare da colonna sonora e costruire una dimensione immersiva. I campanelli legati al collo delle mucche, il cinguettio degli uccelli, la vita più umana composta da calci a un pallone e televisioni accese per la superficie, contro i sassi che rotolano, le gocce d'umidità delle stalattiti nella profondità della caverna. Con una cura fotografica da manuale, alla ricerca delle inquadrature perfette capaci di mettere in scena dei veri e propri tableaux vivants (e più volte ci si chiede come siano riusciti a girare all'interno di quella grotta), Il buco cerca di restituire non solo un'esperienza cinematografica audiovisiva, ma anche un senso claustrofobico via via sempre più pressante, lo stesso che provano gli speleologi. Più procede il film, di breve durata ma molto impegnativo, più lo spettatore sente la necessità di ritrovare uno spazio aperto, una luce che possa rompere quel buio opprimente.

Un buco nell'acqua?

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Il buco: una sequenza

Chiaramente il film di Frammartino richiede una notevole dose di pazienza. Si tratta di una tipologia di cinema che intende stimolare riflessioni, più che dichiararle, attraverso lunghe inquadrature mute e lasciando indugiare lo sguardo dello spettatore, con calma rarefatta. Forse sin troppo autoindulgente e insistito, il film non risulta riuscito in tutti i suoi momenti, prestando il fianco a una certa dose di ripetitività e mantenendo le analogie narrative un po' troppo chiuse da interpretare. Non solo per il modo in cui alterna la storia del pastore all'esterno con il proseguimento dell'esplorazione sotterranea, ma anche per come gestisce i tempi dello svolgimento. Lo stesso paragone tra il filmato d'archivio che apre il film, in cui viene descritto quello che all'epoca era il più alto palazzo del Nord Italia, e la scelta di concentrarsi, invece, su un buco del Sud, come metà opposte dello stesso Paese, appare così poco suggerita da risultare enigmatica. In questo modo il film sottolinea nella propria ragion d'essere la semplice volontà di essere visto, ma fatica a rispondere ai motivi per cui imbarcarsi in questo viaggio duro e faticoso. Arrivati al finale, nonostante l'omaggio all'impresa di quasi sessant'anni fa, ci si ritrova parchi di emozioni e di un reale coinvolgimento, consci di aver compiuto un'impresa di cui forse non se ne sentiva davvero il bisogno.

Conclusioni

A conclusione della nostra recensione de Il buco apprezziamo la volontà di Michelangelo Frammartino di omaggiare un’impresa italiana che ha portato alla scoperta di una delle grotte più profonde d’Italia. Con una cura formale da manuale, molto raffinata e davvero precisa, il film si dimostra un’esperienza cinematografica valorizzata dal grande schermo, l’ottimo impianto audio e il buio della sala. Risulta, però, troppo enigmatico e contemplativo, a tratti ripetitivo, risultando coinvolgente e interessante in maniera altalenante lungo la breve (ma densa) durata.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
2.8/5

Perché ci piace

  • La cura formale delle immagini e l’attenzione verso il sonoro regalano un’esperienza cinematografica adatta al buio della sala.
  • Alcune sequenze restituiscono la sensazione di essere davvero all’interno di una grotta.

Cosa non va

  • Dal ritmo pacato e molto disteso, oltre che essere a tratti ripetitivo, il film può mettere a dura prova la pazienza dello spettatore.
  • Il film vuole stimolare le riflessioni a partire dall’esperienza dello spettatore, ma il finale non costruisce un senso di appagamento che possa giustificare la pazienza riposta.