Recensione Dancer in the dark (2000)

Un capolavoro del cinema moderno, un'opera ai confini della cinematografia...

I've seen it all

Selma sogna ad occhi aperti, e allora non ha più bisogno di nulla.
Il suo rifugio sicuro nel mondo del musical, la porta al di là dei problemi, oltre la tristezza della vita, più su, "dove c'è sempre qualcuno pronta a prenderla quando cade".
Sono cosciente che le mie parole potranno rendere poca giustizia al film di Lars Von Trier, vincitore a Cannes della Palma d'Oro come miglior film, e per il quale Bjork ha vinto la Palma d'Oro come migliore attrice.
Un film difficile da raccontare, anzi impossibile. Proprio per questo non ci proverò, ma vi darò solo alcuni cenni sulla trama; sono sufficienti, in questa sede, solo un paio di pennellate, ma è indispensabile la visione di questo capolavoro per dipingere e poter osservare il piccolo grande affresco che un genio come Von Trier ci ha donato per sempre.
Le premesse della trama sono semplici: Selma, una umile operaia, combatte da anni contro una malattia che la renderà prima o poi cieca, e lotta giornalmente col mondo e con se stessa, in silenzio, per risparmiare i soldi che serviranno al figlio per farsi operare ed evitare così anche lui di finire nel buio. Fin dall'inizio il personaggio di Selma sembra una marionetta in balìa degli eventi, un personaggio che si muove su un immenso palcoscenico, spaesato, in attesa del prossimo colpo da incassare. Lo scorrere degli avvenimenti la costringerà a scelte difficili e dolorosissime, che affronterà sempre col suo sorriso malinconico e lo sguardo perso nel vuoto, a immaginare qualcosa che esiste solo nella sua mente, e proprio per questo è intimamente perfetta.
Sembra quasi superfluo, e peraltro di grande difficoltà, esprimere un giudizio oggettivo su quest'opera, tanto è il coinvolgimento emotivo che le immagini riescono a infondere. Giocando sulla linea che divide il film e il musical, il regista ci mostra la vicenda di Selma con occhio impersonale, eppure utilizzando la camera in maniera da sembrare sempre vicino ai personaggi: il "nostro" occhio (la camera a mano) è il fulcro attorno al quale si svolge una vicenda che spazia dalla triste ironia al dramma vero e proprio, al musical per l'appunto, sequenze nelle quali possiamo ascoltare le magnifiche canzoni curate dalla stessa Bjork; esse non fungono da anello di congiunzione tra le varie parti del film, ma sono semplicemente la liberazione della coscienza da parte dei personaggi, i quali nella trasfigurazione delle immagini sfocate, delle note e dei vocalizzi assumono un ruolo così improbabile da risultare geniale nell'economia del film.
E' proprio questa una delle chiavi interpretative di quest'opera; attraverso dei simboli immersi in una realtà plausibile, Selma trova il modo di elevarsi, in qualche modo di raggiungere una pace interiore, anche se all'esterno si troverà martoriata da una vita cattiva e sadica, che si è accanita su di lei in maniera grottesca.
Tutte grandiose le interpretazioni, ovviamente svetta Bjork per la sua grande carica espressiva, che dona una marcia in più ai dialoghi, mai scontati o stupidi, e alle parti di intermezzo che servono come raccordo funzionale alla trama e al suo svolgimento.
E' limpido il talento del regista nel farci partecipi della sua storia; pur in parte affrancandosi dal manifesto di Dogma 95, ha successo nel raggiungere una onestà artistica e una "verità" nell'uso della tecnica che si è vista raramente.
Anche la fotografia, a volte sfocata, o cupa, lucente o pallida, a seconda delle esigenze, si sposa perfettamente con il resto, senza risultare mai eccessiva o inadatta alle scene.
Una menzione speciale anche per le canzoni che Bjork ha scritto per il film, dei capolavori sui quali mi pare ci sia poco da discutere, cariche di significato, musicate ottimamente e, nel film, coadiuvate anche da coreografie spettacolari.
Ce ne sarebbero infinite parole da spendere, ma comunque l'effetto della pellicola su ogni persona è qualcosa da provare, non da vedere scritto.
Ho detto la mia, ora vado a rifugiarmi nel mio paradiso personale, in fondo ognuno di noi ne ha uno, dove ogni cosa magicamente è al suo posto, un sogno così vivido e "pieno" di noi stessi da sembrare reale, eppure breve, effimero, sfuggente. Come la dolce Selma, che continua a cantare, nonostante tutto.