Hachiko, la recensione: un remake cinese pieno di cuore

La recensione del remake cinese di Hachiko di Xu Ang, presentato al Far East Film Festival 2023. Questa volta il cane si chiama Batong ma la storia è la stessa e non perde di sentimento, anzi lo acquista grazie all'ambientazione orientale: impossibile non emozionarsi.

Hachiko, la recensione: un remake cinese pieno di cuore

Gli animali sono come gli umani: vanno verso la luce

È davvero particolare e unica la storia di Hachiko tanto nella realtà quanto nella finzione cinematografica. Forse per questo la storia vera del cane di razza Akita Inu, un volpino giapponese, era diventata un film prima nel 1987 per mano di Hachikō Monogatari che giocava "in casa" in Giappone, per poi essere trasposta in un adattamento statunitense nel 2009 che ha reso la storia celebre a livello mondiale grazie al coinvolgimento di Lasse Hallström e soprattutto di Richard Gere come protagonista. Siamo nel 2023 al Far East Film Festival dove un ulteriore remake, questa volta cinese, viene presentato in anteprima e vi raccontiamo cosa aspettarvi da questa nuova versione nella recensione di Hachiko di Xu Ang.

Il cane è il miglior amico dell'uomo, per davvero

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Hachiko: un frame del film

Si dice spesso che il cane sia il miglior amico dell'uomo, questo concetto è tornato in auge ancora di più durante la pandemia in cui molte persone hanno preso un animale domestico per affrontare la solitudine del lockdown e delle restrizioni. Non è un caso che proprio ora dopo tre anni di Covid-19 si sia sentito il bisogno - e proprio in Cina, da dove tutto ha avuto origine - di fare un remake di una storia conosciuta al mondo grazie al film del 2009. Ovvero quella di un cane che rimane fedele al proprio padrone anche dopo la sua morte, per tanti anni, aspettandolo alla fontana della stazione - in questo caso della funivia - che prendeva sempre alla stessa ora per andare a lavoro, tornando sempre allo stesso orario, dando anche al proprio animale una routine quotidiana a cui abituarsi e affezionarsi. L'amore incondizionato che trascende tutto non può non attraversare lo schermo e arrivare al pubblico, anche quello più smaliziato e meno avvezzo agli animali domestici. La storia di Hachikō in questo remake diviene quella di Batong - che è il nome di una pedina del mahjong cinese e nella pellicola avrà un preciso significato - e del professore che lo trova ancora cucciolo abbandonato fuori da un canile in disuso e decide di prenderlo con sé, nonostante l'iniziale riluttanza della moglie. La donna sarà quella che più si affezionerà al canino, ritrovandolo molti anni dopo ed è proprio da qui che parte la storia con un grande flashback centrale.

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Un remake pedissequo ma non per questo meno emozionante

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Hachiko: una foto del film

Il remake riprende abbastanza pedissequamente la storia vera e quella cinematografica dell'animale protagonista, ma adattandola al contesto cinese: nei colori, nella fotografia, nel cibo - elemento presente e quasi fondamentale nella pellicola - negli usi e costumi. Torna ad esempio la specializzazione originale del professore protagonista, non più insegnante di musica come Gere, bensì di agro-ingegneria del terreno. Il racconto non perde così il proprio potere emotivo nei confronti del pubblico; anzi, forse, tornando per così dire a casa o comunque a latitudini più vicine alla storia originale giapponese, acquisisce forza e pathos. Il rapporto familiare al centro di questo Hachiko è tanto importante quanto quello tra il cane e il professore, perfettamente messo in scena da tutti gli interpreti - incluso quello canino. Se da un lato il rapporto a due è quello tra animale e uomo, dall'altro è quello tra marito e moglie, sempre a farsi dispetti e rimbeccarsi ma con un grande amore di fondo. Un po' una relazione simile a quella tra la donna e Batong, chiamato così proprio in onore di lei e della sua passione per il gioco cinese, inizialmente totalmente contraria ad accogliere un nuovo "figlio" in casa ma che col tempo non riuscirà a non affezionarsi e "affidarsi" a lui.

Passi a due

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Hachiko: una scena del film

Sono tante le relazioni a due presenti nella pellicola: c'è anche il rapporto del protagonista coi figli, soprattutto col figlio maschio, con cui non riesce a confidarsi e confrontarsi - l'incomunicabilità torna come tematica in questo FEFF25 - ma che proprio grazie al cane, di cui inizialmente è geloso per l'affetto che quotidianamente il padre dimostra all'animale, troverà un punto di contatto col genitore. Nella colonna sonora e nella regia dinamica sono racchiuse le chiavi di Xu Ang per raccontare in modo personale questa storia davvero universale, che trascende qualsiasi confine linguistico o geografico per arrivare dritto al cuore degli spettatori... e rimanerci per sempre.

Conclusioni

Chiudiamo la recensione di Hachiko confermando come sia impossibile non emozionarsi guardando il film e quanto fosse necessario un remake che tornava, per così dire, alle origini e alle latitudini della storia vera del cane protagonista. Una pellicola commovente ma mai strappalacrime, equilibrata nella scrittura e nella messa in scena, che gira un po' a vuoto e diviene ridondante solo nella parte finale prima della poetica scena conclusiva, quando vuole sottolineare ed enfatizzare (forse un po' troppo) il comportamento decennale di Batong dopo la morte del suo padrone.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.2/5

Perché ci piace

  • Il rapporto tra Batong e il suo padrone, e le dinamiche familiari.
  • Un remake pedissequo ma non ripetitivo.
  • Il casting dell’animale protagonista in tutte le fasi della sua vita.
  • Le lacrime sono garantite.

Cosa non va

  • Il film si dilunga troppo nella parte finale, rischiando di far perdere la poesia della scena conclusiva.