Eroi stanchi al capolinea: se Logan fosse l’incarnazione del cinecomic

Cupo e attraversato da un malessere esistenziale, Logan ha chiuso l'epopea dell'eroe più longevo del cinema. Un film nel quale abbiamo intravisto un messaggio allegorico, che va oltre la storia di un personaggio per allargarsi verso l'amara presa di coscienza di un genere in crisi d'identità. Attenti agli spoiler sin dal primo rigo.

Logan: Hugh Jackman e Dafne Keen in una scena del film
Logan: Hugh Jackman e Dafne Keen in una scena del film

Polvere, sangue e lacrime di adamantio. Un dolore lungo quanto una vita intera che viene beffato grazie a quella gentile signora di nome Morte. Puntuale e liberatoria come solo lei riesce ad essere in certi casi. Funziona così se il tuo nome è Logan, se il mondo intero ti ha conosciuto come Wolverine, e tu non hai fatto altro che lottare e basta. Contro una condanna che ti scorre dentro, contro l'odio cieco del mondo allergico ai diversi e nemici che ti hanno sempre voluto manipolare. Hai combattuto guerre ottocentesche, hai sentito l'odore del napalm lubrificarti le narici in Vietnam, cercato pace nel riflessivo Giappone e, infine, catapultato in un 2029 inospitale, deserto, privo di speranza. La vita del buon vecchio Wolverine ha attraversato il tempo e lo spazio, per cui, caro Logan, capiamo che tu sia stanco adesso. Per questo James Mangold ha preparato un terreno fertile solo per un giusto addio, organizzato ogni cosa per celebrare un degno funerale cinematografico. Tra gli invitati ecco le parole dolenti de Il cavaliere della Valle Solitaria ("Un uomo ha la sua via tracciata, non può cambiarla. Si infrange la legge quando si uccide, e non c'è rimedio. A torto o a ragione rimane sempre un marchio che non si cancella più"), perfettamente aderenti alla vita di del vecchio X-Men.

Logan: Hugh Jackman in un'immagine suggestiva dal primo trailer
Logan: Hugh Jackman in un'immagine suggestiva dal primo trailer

E poi ecco delle note malinconiche echeggiare dentro un panorama desolato. In sottofondo passa una ballata che parla di corone di spine portate per troppo tempo, di aghi che fanno male, cantata dalla voce graffiata di Johnny Cash. Ancora una volta parole perfette per lo spossato Logan. Un vecchio film e una canzone. Due indizi che compongono una prova: Logan - The Wolverine si apre a diverse chiavi di lettura, vuole essere recepito in altri modi. Noi, lungo il tortuoso percorso di questo faticoso ultimo viaggio, abbiamo letto una grande metafora metacinematografica, un'allegoria di un genere (il cinecomic) stanco di se stesso, desideroso di mettere un punto alla sua esistenza. Ecco le cinque tappe che ci hanno portato a questa (amara) conclusione. Ovvero sperare in un ultimo grande addio ai supereroi. Un addio di nome Logan. Dopo tutta questa fatica, se lo meriterebbe.

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Ieri, oggi, mai più. Essere Wolverine

Un potente Hugh Jackman emerge dalle acque in X-Men - Le origini: Wolverine
Un potente Hugh Jackman emerge dalle acque in X-Men - Le origini: Wolverine

Tutto nasce con lui e qualcosa finirà con lui. Ma quanto sarebbe stato romantico chiudere così? Girare quella croce e farla diventare una "X", come la meta di un prezioso tesoro, pietra tombale di un genere che finalmente riposerà in pace. Perché Wolverine è il cinecomic. Un personaggio vissuto in maniera intima e intensa da un attore che ha dato anima (e tantissimo corpo) ad un personaggio a cui deve la fama e col quale è entrato in simbiosi. Col tempo, però, le cose sono cambiate, perché Hugh Jackman si è dimostrato un attore sopraffino e poliedrico, così, alla fine, è stato lui a fare un favore a Wolverine, tornando nei suoi panni un'ultima volta, con il pessimo gusto del Caso che chiede a Jackman di lottare davvero contro un tumore alla pelle. Malattia affrontata con la forza e l'autoironia dei grandi. Dicevamo: Wolverine è il cinecomic. Non ci siamo dimenticati del buon Blade, ma come si fa sempre con le epoche storiche, abbiamo scelto il 2000 e X-Men come l'inizio di tutto. Per convenzione è con quel film che l'era dei cinecomic ha visto l'alba. Da allora, lungo 17 anni, Wolverine si è dimenato lungo 6 film collettivi sui celebri mutanti (contando anche i cameo) e una trilogia tutta sua.

Logan
Logan

Ha stupito, ha deluso, ci ha fatto arrabbiare e infine commuovere. Adesso, dopo tutto questo tempo, Logan è sfatto come un cinecomic deluso da se stesso. Stanco di essere arrabbiato e arrabbiato di essere stanco. Proprio come molti spettatori che iniziano a provare assuefazione e nausea davanti ai film dei supereroi, opere che hanno perso l'antico smalto, schiacciate da doveri opprimenti (creare universi più che raccontare storie e presentare personaggi), oppure si sono adagiate su modelli ormai ripetitivi (le origin story Marvel). Negli ultimi anni, eccezion fatta per Guardiani della Galassia e Deadpool, nessun film ha proposto qualcosa di davvero innovativo e quelli che si sono distinti di più (pensiamo a Captain America: The Winter Soldier) hanno migrato verso altri generi. Per tutti questi motivi crediamo che un Logan stanco e alla deriva assomigli davvero al cinecomic. Un "uomo" (o un genere) che si guarda allo specchio, vede i segni del tempo e quasi non si riconosce più.

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Contro le copie, senza rigenerarsi

Logan: un'immagine suggestiva dal primo trailer
Logan: un'immagine suggestiva dal primo trailer

Una vita intera a lottare e a combattere. Contro gli altri, per gli altri e poi contro quell'innaturale sostanza che gli scorre dentro. Ha sempre sentito dolore ovunque il nostro Wolverine, a partire dai suoi artigli, ogni volta che vengono fuori. Sentire male per fare male. E poi i lutti, le allucinazioni, il senso di colpa. Per questo del vecchio eroe feroce, agile e inarrestabile sono rimasti solo i brandelli. Il ricordo sbiadito di un uomo sfilacciato, ferito ovunque (anche dove non si vede), zoppo, con il pus sulle nocche e un veleno nel corpo. Il male da combattere in Logan ci riporta dentro la nostra cara allegoria, perché per una volta il nemico vero da combattere non è un avversario esterno all'eroe, ma una malattia che lo sta logorando dall'interno. Logan sta male come il cinecomic. È un fatto privato, intimo. C'è qualcosa nell'organismo del genere che non funziona più come una volta. Infatti, persino Wolverine non riesce più a rigenerarsi. E il cinecomic? Ci riesce? Grazie a Deadopool sicuramente, mentre Logan, più che un sussulto, ci appare un riuscito e malinconico canto del cigno. Un'amara presa d'atto di un genere giunto al crepuscolo che, come fa Logan, lotta con tutte le sue forze contro i suoi cloni, contro copie di se stesso che sono più giovani ma vuote, mute, con più muscoli ma senza qualcosa da dire.

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Lasciatemi solo, lasciatemi stare

Logan: Hugh Jackman in una foto del film
Logan: Hugh Jackman in una foto del film

I cinecomic non sono più semplici film, non sono opere chiuse, ma eterni "punto e virgola", tasselli di un puzzle a cui manca sempre il prossimo pezzo. Allergici agli argini, i cinecomic si sono trasformati in parti di un tutto più grande di loro, tenuti insieme dagli ormai celebri universi narrativi. Se il Marvel Cinematic Universe ha costruito il suo impero con maestria, lungimiranza e pazienza (facendo sentire la sua eco persino nelle serie tv), la DC, dopo aver salutato la trilogia nolaniana di Batman, autonoma e chiusa, ha mostrato gli effetti negativi della fretta con Batman v Superman: Dawn of Justice e il pasticciato Suicide Squad. In questo panorama ampio che ha fatto Logan? Ha sbattuto la porta in faccia a tutti e gridato al mondo un bel "lasciatemi solo, lasciatemi perdere, lasciatemi in pace". Con un atteggiamento anarchico e menefreghista, il Logan di James Mangold ha rifiutato di aderire alla saga degli X-Men e persino alla stessa trilogia di Wolverine con un film a sé stante, al cui interno ci sono persino incoerenze ed errori clamorosi (l'uso del proiettile di adamantio, la presenza di Calibano). Niente connessioni, niente legami, niente di niente. Così questo scontroso desiderio di indipendenza e di solitudine diventa un altro punto di contatto tra Logan e il suo stesso personaggio.

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Tornare al fumetto

Logan2
Logan2

Un viaggio on the road lungo cui trascinarsi, resistere e contaminarsi con la piccola, misteriosa e taciturna Laura, compagna di un'avventura vissuta a fatica. Logan e la ragazzina, artigli negli artigli verso una meta, ovvero "Eden", isola felice nel North Dakota dove giovani cavie sono riuscite a nascondersi dai brutti ceffi della Transigen. Come ogni buon viaggio impone, tutto parte da una mappa e dal tesoro al suo interno. Questa volta, però, la mappa è insolita, perché è nascosta dentro un fumetto Marvel degli X-Men. Il contenuto dell'albo (creato appositamente per il film) è la guida di Logan e, nonostante le perplessità iniziali di Wolverine sul suo contenuto troppo fantasioso ed edulcorato, alla fine funge da oggetto fondamentale per le vicende narrate. Mai come in Logan un fumetto era stato così presente e determinante. Come se Logan volesse rivendicare il valore delle origini, togliendo per un attimo al cinema stesso la sua centralità forse abusata. Come a dire "è da lì che veniamo, ed è lì che dobbiamo fare ritorno". Lontano dagli schermi, lontano dalla folla, semmai nel silenzio di una stanza. A sfogliare un fumetto. Da soli. Proprio come farebbe Logan.