EO, la recensione: non si sevizia un asinello

La recensione di EO, film di Jerzy Skolimowski con protagonista un asino: novello Ulisse, in viaggio per l'Europa mostra un'umanità maggiore di tanti esseri umani. In sala.

EO, la recensione: non si sevizia un asinello

Se, leggendo il titolo del nuovo film di Jerzy Skolimowski (che si pronuncia "ih-oh"), avete pensato al personaggio di Winnie the Pooh, non sbagliate: il protagonista è effettivamente un asino. Fatta questa considerazione infantile, la recensione di EO, il nome dell'animale, non può che partire da due informazioni trite e ritrite: la pellicola è stata presentata in concorso al Festival di Cannes 2022, dove ha vinto il Premio della giuria (ex aequo con Le otto montagne), ed è un omaggio del regista a Au hasard Balthasar di Robert Bresson.

Nelle sale italiane dal 22 dicembre, EO è, secondo lo stesso Skolimowski, un tentativo di ritrovare la commozione provata soltanto con il film del collega francese, uscito nel 1966. Per l'autore polacco quello di Bresson è il film che più lo ha scosso, grazie alla purezza assoluta del protagonista, un asino anche lì. Questo film è quindi un dichiarato omaggio, ma non per questo risulta superfluo o fine a se stesso. Anche se non parla, EO ha qualcosa da dire, anzi da farci sentire.

L'asinello EO (interpretato da sei animali diversi) è felice nel circo in cui lavora: ha un rapporto speciale con l'acrobata Kasandra (Sandra Drzymalska), che lo abbraccia e lo accarezza come se fosse un bambino. Lei gli parla e lui la ascolta, quasi come se capisse ciò che dice. E in effetti EO non solo è intelligente, ma formula veri e propri pensieri: attraverso inquadrature dei suoi occhi, flashback e un montaggio che sembra seguire il flusso di coscienza dell'animale, Skolimowski ci fa letteralmente entrare nella sua testa. Quando un gruppo di attivisti costringe il circo a liberare le bestie, l'asino comincia un viaggio che lo porta in giro per l'Europa, e anche in Italia, quasi come un novello Ulisse.

Nella mente dell'asino

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Eo: un'inquadratura del film

È interessante come in pochi anni diversi registi abbiano scelto di raccontare l'umano attraverso gli occhi degli animali: lo hanno fatto Victor Kossakovsky con Gunda, documentario su una scrofa prodotto da Joaquin Phoenix uscito nel 2021, Andrea Arnold con Cow (2021), altro documentario, questa volta su una mucca, e Pietro Marcello con Bella e perduta (2015), in cui un bufalo ha un ruolo centrale. Il tema dell'ecologia e del mondo degli umani visto attraverso gli occhi degli animali non è dunque una novità, ma al cinema, in cui il racconto per immagini viene prima di ogni cosa, nella sua semplicità risulta sempre molto potente.

Guardando EO, oltre ai paragoni più evidenti e già citati, abbiamo fatto anche un'ulteriore associazione: un altro film visto a Cannes qualche anno fa, Lazzaro felice (2018) di Alice Rohrwacher. Lì il protagonista è un ragazzo, ma la quasi assenza di parola, lo sguardo smarrito sul mondo e soprattutto la sua purezza nell'approcciarsi alla vita sono gli stessi di EO. L'umanità non ci fa una bella figura nel riflesso degli occhi sgranati di questi personaggi: vediamo un'Europa stanca, malata e isterica, incapace di provare empatia.

Lazzaro felice: la terra della gentilezza uccisa

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Eo: un momento del film

Il povero asinello si ritrova vittima di tifosi di calcio, camionisti, giocatori d'azzardo. Tutti pensano solamente a se stessi, nessuno ha la voglia di provare a uscire dalla propria forma mentis e guardare il mondo, e l'altro, da un punto di vista diverso. Che è invece esattamente ciò che fa Skolimowski: attraverso il sonoro e inquadrature folli, alternate a una costruzione quasi pittorica dell'immagine (l'attraversamento del ponte), che poi invece scompone, e scene sorprendenti come quella in rosso, il regista ci fa vedere la realtà proprio come la vedrebbe EO.

Di più: ci fa provare ciò che prova lui. E, una volta entrati così in empatia con l'animale, è impossibile non provare vergogna per noi stessi. Si fanno tante campagne in favore degli animali, gli attivisti creano slogan, ma una volta che, grazie alla magia del grande schermo, si prova ciò che un animale molto probabilmente pensa nei minuti che lo separano dal macello non si può che sentirsi diversi. Ecco perché i momenti con gli attori umani, tra cui figurano Isabelle Huppert e Lorenzo Zurzolo, sembrano stonati e completamente fuori posto: viaggiano su una dimensione completamente diversa. A visione finita, tornare a mangiare carne senza sensi di colpa sarà difficile.

Conclusioni

Come scritto nella recensione di EO, il film di Jerzy Skolimowski è il personale omaggio del regista alla pellicola che più lo ha commosso nella sua vita, ovvero Au hasard Balthasar di Robert Bresson. Anche in quel titolo del 1966 il protagonista è un asino. Qui EO è un animale che lavora in un circo e, per una serie di eventi, si trova improvvisamente a vagare per l'Europa. Attraverso i suoi occhi vediamo un'umanità terribile. Il grande pregio del film, grazie a un uso magnifico di immagini e suono, è di far entrare lo spettatore talmente in empatia con l'asino da provare le sue stesse emozioni e quindi vedere il mondo da un punto di vista diverso.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
3.5/5

Perché ci piace

  • La grande padronanza dell'immagine e del sonoro di Skolimowski.
  • La capacità del film di far cambiare punto di vista allo spettatore, al punto da provare le stesse emozioni dell'asino.

Cosa non va

  • Le scene con gli attori umani sembrano quasi estranee al racconto, che potrebbe essere voluto, ma stonano.
  • Chi non è disposto a entrare in empatia con il protagonista animale potrebbe trovare molto dura seguire il film.