Edhel, tra delicatezza fantasy e aspro bullismo

Arriva dallo scorso Giffoni una piccola uscita che racconta, con sottile e delicato approccio al fantasy, la storia di discriminazione di una bambina solitaria con una deformazione alle orecchie che la fa apparire come un elfo.

Edhel: Gaia Forte in un'immagine promozionale
Edhel: Gaia Forte in un'immagine promozionale

Pur con una certa tradizione passata di cinema di genere, non si può certo dire che l'Italia sia il paese del cinema fantasy. Non abbiamo una grande tradizione di questo tipo di film e un po' sorprendono le incursioni nel fantastico che sono apparse negli ultimi anni, seppur declinate secondo i canoni del nostro cinema. Se infatti un autore come Gabriele Salvatores non è nuovo a sperimentazioni, a cominciare da Nirvana datato addirittura 1997, e può non stupire il suo tentativo di cinecomic nostrano con i due Il ragazzo invisibile, colpisce come una pellicola come Lo chiamavano Jeeg Robot sia stata capace di reinventare il genere adattandolo alle caratteristiche del contesto, culturale e produttivo, italiano.

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È indice di una giovane generazione di registi che sono cresciuti guardando un altro tipo di cinema, che ha fatto suo un insieme di caratteristiche narrative ed estetiche che inevitabilmente finiscono nel loro modo di far cinema. Ultimo esempio è Edhel, opera prima di Marco Renda, classe 1984, che ha vinto allo scorso Giffoni nella categoria 6+ e che declina il genere fantasy in modo personale e delicato, raccontando di una ragazzina solitaria e fuori dal comune, e della discriminazione nei suoi confronti.

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Non è paese per elfi

Edhel: Gaia Forte sul set del film
Edhel: Gaia Forte sul set del film

A dodici anni, infatti, la piccola Edhel sa quanto possono essere cattivi i suoi coetanei. Per questo ha sempre il cappuccio calato sulla testa e nasconde quella caratteristica che la rende unica: una malformazione ai padiglioni auricolari che rende le sue orecchie a punta, come quelle degli elfi. Edhel, però, non lo sa. Le interessa solo evitare i rapporti con gli altri e rifugiarsi nell'unico luogo in cui si sente a suo agio, il maneggio dove si trova il cavallo che l'attende e che frequentava anche suo padre prima di morire in un incidente. Per questo, Edhel e sua madre Ginevra sono sole e sono molto unite, a dispetto delle continue discussioni per l'operazione alla quale la donna vorrebbe sottoporre la figlia, per eliminare quel problema alle orecchie che la rende diversa. Le cose cambiano quando la ragazza conosce Silvano, un bidello con gusti nerd, amante di giochi di ruolo e fantasy, che vede in quella malformazione un segno, l'indicazione della sua appartenenza elfica. Attraverso i suoi occhi, la stessa Edhel comincia a vedersi diversamente.

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Il sottile approccio al fantasy

Edhel: un primo piano di Roberta Mattei in un'immagine promozionale
Edhel: un primo piano di Roberta Mattei in un'immagine promozionale

Marco Renda non affonda mai a piene mani nel genere fantasy, lo sfiora e lo suggerisce ma mantiene il suo film d'esordio Edhel molto ancorato alla realtà. I riferimenti sono evidenti e sinceramente affettuosi, ma sono fatti con una delicatezza pari a quella della sua protagonista, divisa tra due mondi così come il film si mantiene in bilico tra realismo e fantasia. Questo dona al film un'atmosfera eterea, irreale eppure concreta, che crea un legame tra lo spettatore e la situazione in cui si trova a vivere la giovane protagonista, al netto di un paio di sequenze meno riuscite in cui i limiti produttivi e l'esiguità del budget non possono che emergere. Problemi di secondaria importanza, perché Renda riesce a concentrare la nostra attenzione sulla piccola Edhel e sulla giovanissima Gaia Forte che la interpreta, brava a sorreggere sulle sue esili spalle il peso di un film che non vuole essere una semplice fiaba.

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La crudezza della favola

Edhel: una scena del film
Edhel: una scena del film

Con misura ed equilibrio, Renda usa il genere per raccontare una storia di ordinaria discriminazione e bullismo, quella di una bambina chiusa in sé stessa per le angherie dei suoi coetanei. Una storia che di base ha un tema non troppo dissimile da quella vista non più di un mese fa in Wonder e che, tristemente e drammaticamente, richiama tante che possiamo scorgere tutto intorno a noi, in una realtà che non ha quella stessa speranza, quella via di fuga nel mondo della fantasia che è consentita alla piccola Edhel, una bambina con il destino segnato sin dal nome (che vuol dire appunto elfo). Quello di Renda è un film piccolo con un cuore grande, che racconta con delicatezza e misura una storia che dovremmo vedere presto anche in altra forma, in una serie televisiva già in lavorazione che potrà darle più spazio e respiro.

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Movieplayer.it

3.5/5