Recensione I duellanti (1977)

Il folgorante esordio di Ridley Scott, debitore eterno di Spielberg e di Kubrick.

Duell(ant)i

Nel '72 nasce uno dei registi che più hanno contribuito alla creazione dell'immaginario collettivo del cinema della New Hollywood. E, forse incoscientemente, o forse no, nasce con un film semi-muto, hitchcockiano, il più possibile lontano da quella sovrastruttura, seppur profondamente dietetica, di artifici pirotecnici che lo renderanno celebre.
Di lì a cinque anni, esordisce un altro cineasta oramai incastonato solidamente nel jet set losangelino e, purtroppo, nei blockbuster finalizzati all'introito. E lo fa aggiungendo semplicemente una desinenza a quel piccolo gioiello spielberghiano; da Duel si passerà così a I duellanti senza soluzione di continuità, chiudendo il cerchio di un decennio incastonato tra queste piccole due perle.
IL giovane Ridley Scott ha negli occhi ancora vivida l'immagine delle tele di Barry Lyndon, paradigma di una certa estetica cinematografica, che tanto ben si accompagna alla consueta e malcelata etica di quel volpone di Kubrick.

E a partire da questi due spunti cinefili che Scott costruisce il suo film, che spazia, seppur un po' grezzamente, tra la tensione del "saputo-ma-non-visto" e quella della ricerca del lato etico/estetico, in una spirale delicata ma profondamente sincera di ragioni (filmiche) e sentimento.
I duellanti si muovono in un ambiente descritto minuziosamente da una mano sapiente e non calcata, dando al film un andamento classicheggiante nel suo fluire e rifluire tra una scena madre e l'altra, altalena di sentimenti ed emozioni figli, nella loro descrizione dietetica, del cinema della trasparenza della giovane Hollywood. Keith Carradine ed Harvey Keitel si muovono dunque in uno spazio che li asseconda, li segue e partecipa al loro dolore. Scott tiene sempre la macchina da presa a distanza, la muove generosamente per incorniciare i suoi personaggi nel contesto già splendidamente ricreato. La tensione descrittiva è mutuata dal già citato Barry Lyndon (tendenza descrittiva che Kubrick riprenderà e, in un certo senso, estremizzerà in Full metal racket), e concorre nel formare quell'impressione di classicismo nell'impatto etico ed estetico del girato.

Accusato di essere un po' freddo e didascalico, I duellanti è in realtà un film che non lascia spazio alcuno ad un sentimentalismo di maniera cui lo script ben si presterebbe, cogliendo un'essenzialità nello sviluppo e una precisione nella definizione dei canoni estetici veramente notevole.
Opera prima che spalancherà al giovane Scott le porte del mainstream della west coast cinematografica, nella quale verrà assorbito e fagocitato purtroppo troppo presto. Anche se, qua e là, a sprazzi ogni tanto rialza la testa, e sembra ricordarsi dei suoi splendidi anni '70.