Recensione Il mercante di pietre (2006)

Il cinema di Martinelli è un cinema di voli intellettuali strombazzati ai quattro venti e di pratiche basse sul campo: si respira una brutta aria di dilettantismo, specie sotto il profilo della post-produzione.

Determinismi inclinati

C'è un equivoco allarmante che alimenta Il mercante di pietre e sta nella presunta valenza politica che sottende il nuovo film di Renzo Martinelli. Valenza affermata, evocata, quasi sparata in faccia e per buona parte risultante dall'incontro romano che il regista ha tenuto con la stampa. Sorta di comizio dalle ambizioni storiciste; uno storicismo determinista, da hegeliano di destra - questo ci pare il caso di affermarlo, senza giudizio di merito - che nel bene e nel male orienterà il giudizio sul film. Male, molto male, perché per quanto Martinelli possa sforzarsi, citando Bloch (ma dimenticandosi poi la natura dialettica della storia) Il mercante di pietre è un film politicamente nullo, che più che sollevare il problema islamico indugia su una catarsi piccolo-borghese. Film politicamente nullo perché non va da nessuna parte e non dice niente, annullando la maniacalità della sua documentazione, l'analisi storica della sua premessa nell'irrilevanza del suo costrutto. Della sua grammatica.

Il cinema di Martinelli è un cinema di voli intellettuali strombazzati ai quattro venti e di pratiche basse sul campo. Di cattivo gusto però. Meno a buon mercato e più antiche di un Tony Scott qualsiasi. E non è sufficiente un'estemporanea e forzata battuta messa in bocca ai personaggi sui "critici frustrati" per legittimare un discorso filmico fatto di insostenibili ralenti, penosi apporti digitali, effettacci di ogni specie e incomprensibili inclinazioni della macchina da presa in corrispondenza di ogni inserto di raccordo. Niente di male nel volersi confrontare coi generi e con il cinema di intrattenimento ma da queste parti si respira una brutta aria di dilettantismo, specie sotto il profilo della post-produzione.

In questa cornice, raccontare di un professore universitario invalido e ossessionato dal terrorismo e di sua moglie improvvisamente innamorata di un mercante italiano convertitosi all'Islam e alla causa terrorista è materia narrativa di poco conto, quasi risibile. Soprattutto se l'intreccio amoroso fa un po' sorridere e le interpretazioni fanno un po' piangere; sua maestà Harvey Keitel compreso, naufrago su una barca che fa acqua da tutte le parti.