Day of the Fight, la recensione: Michael Pitt e una meravigliosa destrutturazione dei film sulla boxe

La recensione di Day of the Fight: l'esordio alla regia di Jack Huston è un film profondo e dolente, che rivede il concerto di sport movie per parlare di perdono, di rimorso, di speranza. Protagonista, un grande e ritrovato Michael Pitt.

Day of the Fight, la recensione: Michael Pitt e una meravigliosa destrutturazione dei film sulla boxe

Jack Huston non va per il sottile e, fin dal titolo, per il suo ottimo film d'esordio, si concede una citazione di spessore, omaggiando un cortometraggio di Stanley Kubrick datato 1951, Day of the Fight. Per il debutto da regista, l'attore, sceglie lo stesso identico titolo di quel corto, allungando, in quasi due ore, il percorso umano di un ex pugile che ha perso tutto, per sfruttare poi il film come uno sport movie disfunzionale dove il pugilato è un mero pretesto, una sorta di espediente, l'aggancio per raccontare tanto altro.

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Day of the Fight: una foto dal set

Per questo, la parabola umana di Huston, anche autore della sceneggiatura, annulla le stesse regole dei film sportivi. Allora, in Day of the Fight, presentato a Venezia 2023, l'allenamento fisico diventa l'estenuante consapevolezza di uomo che scoperchia gli anfratti di un passato tragico, in cui i fantasmi si allungano nella splendida fotografia in bianco e nero firmata da Peter Simonite. Già perché Huston ci tiene, e tanto, al suo film: c'è un'eleganza informale resa aggraziata dai sinuosi movimenti di macchina, e dalla sostanziale storia che racconta, puntando al più classico dello storytelling americano in cui i sentimenti dolenti fanno a botte con la costante ricerca della speranza.

Day of the Fight: il rimorso sul ring della vita

Botte, lividi, la speranza e una New York City urbana, ripresa solo di sguincio, sulla linea 2 della Subway, che parte da Brooklyn per arrivare fin su alla Midtown. Perché Day of the Fight è cinema debitore, ma è anche cinema nuovo. E poi perché, come detto, è un viaggio, quello di Mikey (interpretato da un ritrovato Michael Pitt, che con Jack Huston aveva già lavorato in Boardwalk Empire), pugile una volta famoso che, appena uscito di prigione, intraprende un cammino di redenzione che ha come meta il Madison Square Garden, tempio pagano della boxe.

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Day of the Fight: una scena del film

Il rimorso, il rancore vero sé stesso, la rabbia, il dolore: Mikey è malato, ma l'ultimo incontro di pugilato è l'occasione perfetta per ritrovare le tracce di una vita perduta e sospesa, ritornando dalla sua sparpagliata famiglia, chiedendo loro perdono, dichiarando loro amore, tenendogli la mano, il tempo fugace e distratto di un caffè. Mikey torna, ma è in ginocchio. Niente allenamento, niente sacco da prendere a pugni, niente corse né trionfi: Mikey va dritto al sodo, puntando al sacrificio, al sangue, al perdono.

Un'assolta giornata di pioggia

Nella sua forza e nel suo cinematografico e avvolgente bianco e nero (una chiave stilistica sempre efficace, senza troppo scomodare Toro Scatenato), Jack Huston dirige un film folgorante, di spina dorsale e di milza, di emozioni e di nervi a fior di pelle. Un film che sfrutta in pieno le note accartocciate di Mikey, un loser in cui ci ritroviamo, accarezzando i suoi sbagli, come se fossero i nostri. Un film sul fallimento, sulla caduta, sulle ferite che non si rimarginano. Destro e sinistro, il ring come palcoscenico, l'attimo prima della fine. E lo abbiamo scritto: la retorica del film sportivo - il pugilato è lo sport più scenografico di tutti - è solo abbozzata, è solo un'espediente. Dietro il giorno del combattimento di Mikey, testa bassa e mani nelle mani, avvolto in uno sdrucito bomber, ci sono le ferite di un uomo vulnerabile, che torna ad allenare le emozioni invece che il fisico, prendendo a cazzotti la memoria di un dolore che gli offuscano la testa: un incidente, un padre violento (da perdonare), un gatto da sfamare, una lettera da scrivere. Ma la calligrafia è tremolante, inquieta. Impaurita. Il peso è insopportabile per Mikey, e dunque giù di lacrime. Le sue, le nostre.

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Day of the Fight: un'immagine

Del resto, Day of the Fight, nel suo forte dramma, non si risparmia sull'emotività. Anzi. Ed è un crescendo, il film diretto da Jack Huston, che in ventiquattro ore concentra il tumulto di una vita intera, facendo risuonare la strepitosa colonna sonora di Ben MacDiarmid, che vibra jazz e soul, parallelamente alla soundtrack che alterna illuminazioni come Rodriguez con Crucify Your Mind, Jackson C. Frank con Blues Run the Game, Book of Love di Peter Gabriel e una splendida cover di Have You Ever Seen The Rain?, interpretata, voce e piano, da Nicolette Robinson, che in Day of the Fight interpreta l'ex compagna di Mikey. E sarà proprio il brano dei Creedence Clearwater Revival ha tradurre il senso più elevato di un film che colpisce testa e cuore: When it's over, so they say, It'll rain a sunny day, I know, shining down like water. Sì, è finita quando sarà finita: sul ring come nella vita, in un'assolata giornata di pioggia battente. Dilaniante.

Conclusioni

Dolente, drammatico, potente nella sua metafora umana e sportiva. Come scritto nella nostra recensione, Day of the Fight di Jack Huston rivede i paradigmi dei film sul pugilato per affrontare i demoni e i lividi di un uomo sconfitto. Grande colonna sonora. E quante lacrime...

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.2/5

Perché ci piace

  • La regia di Jack Huston.
  • La bravura dolente di Michael Pitt.
  • Una New York che c'è, ma non si vede.
  • Il pugilato come metafora.

Cosa non va

  • Forse si perde in lunghezza, ma l'emozione è comunque dirompente.